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Dislessia: facciamo chiarezza sui Disturbi dell’apprendimento

Scritto da Dr.ssa Sara Ruggeri il 8 Ottobre 2013
Categorie
  • Psicologia Scolastica
Tags
dislessia evolutiva

dislessiaParliamo di dilessia

“Non è dislessico, è che si allena poco”

“Non è dislessica, è che non le piace leggere”

“Non è dislessico, deve solo leggere di più a casa”

“La dislessia è una moda, è solo svogliata”

Queste sono solo alcune delle frasi che bambini e genitori sentono ripetersi al manifestarsi di difficoltà più o meno importanti soprattutto durante le prime fasi di apprendimento della lettura.

Hanno ragione? Facciamo un po’ di chiarezza.

Recentemente sono stata contattata da una mamma per fornire supporto alla figlia, di 10 anni, a causa di alcune difficoltà scolastiche riscontrate sin dalla prima. La bambina va a scuola volentieri, va d’accordo con compagni ed insegnanti, è solo che non le piacciono alcune materie, quindi non si impegna molto e i voti ne risentono. Concordo un incontro per valutare lo stato degli apprendimenti della piccola, ma al momento del congedo la madre mi dice “Ma le ho detto che Valentina era un po’ dislessica? Però ora è guarita!”

Il primo pensiero che formulo in quel momento è rivolto proprio a Valentina: che sia o meno dislessica, cosa le è stato detto? E con quali parole? Valentina pensa di essere guarita, e quindi di essere stata “malata“?

Questo breve aneddoto evidenzia due punti focali legati al tema dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) e della loro diagnosi:

  • spesso i diretti interessati non dispongono delle corrette informazioni
  • questo conduce ad un’idea distorta della condizione, per cui la diagnosi di DSA incute timore

Cosa sono i Disturbi Specifici di Apprendimento?

bambino-dislessicoI Disturbi specifici di Apprendimento (DSA) sono difficoltà significative nell’acquisire e/o automatizzare alcune abilità che mediano l’apprendimento (lettura, scrittura, calcolo); tali difficoltà hanno base organica in quanto legate a disfunzioni del Sistema Nervoso Centrale. Questo significa che il DSA accompagna l’individuo durante tutto il suo percorso di vita, e non può essere guarito proprio perché non è una malattia, ma una condizione, ovvero un diverso modo di elaborare le informazioni. L’individuo con DSA ha solitamente competenze e capacità identiche a quelle dei coetanei, tranne che in quello specifico dominio (lettura, scrittura o calcolo). E’ possibile che un individuo abbia più disturbi specifici (ad esempio in lettura e scrittura), e il grado di severità del disturbo non è uguale in tutti gli individui che ne sono caratterizzati.

I DSA attualmente riconosciuti sono:

  • dislessia: difficoltà nell’effettuare una lettura corretta e/o fluente
  • discalculia: difficoltà nel manipolare quantità, numeri e/o procedure di calcolo
  • disortografia: difficoltà nel memorizzare ed applicare regole ortografiche
  • disgrafia: difficoltà motoria che rende difficile una scrittura fluida e veloce
Lettura di approfondimento:  I possibili interventi di mediazione scolastica

Perché è importante che i diretti interessati siano bene informati?

Avere una corretta conoscenza della propria condizione significa essere consapevole delle proprie caratteristiche, quindi sia dei propri limiti che, soprattutto, dei propri punti forza e delle possibilità presenti per potenziare la propria condizione e, se necessario, aggirare gli ostacoli che si potrebbero incontrare nel percorso scolastico e di vita.

Cosa può fare il genitore di un/a bambino/a con sospetto DSA?

  • rivolgere allo specialista tutte le domande necessarie a chiarire i propri dubbi, anche rispetto all’eventuale relazione diagnostica che viene fornita: è un diritto del paziente ricevere tutte le informazioni per affrontare in modo consapevole e attivo la diagnosi.

  • chiedere allo specialista di effettuare un colloquio con il/la bambino/a, magari anche in presenza dei genitori: venire a conoscena della propria condizione con le parole giuste impedisce la creazione di un’immagine di sé come individuo malato.

  • chiedere allo specialista che nella relazione sia presente il profilo funzionale, ovvero non solo le fragilità ma anche i punti forza del/la bambino/a: vedere per iscritto in cosa si è più capaci permetterà al/la bambino/a di rendere più equilibrata l’immagine di sé.

E Valentina?

Valentina non è una bambina con dislessia, ma presenta difficoltà che non rientrano nella categoria dei DSA. Ora lei stessa, la sua famiglia e i suoi insegnanti conoscono le sue caratteristiche, sanno come comunicarle a chi non la conosce e possono potenziare le sue prestazioni nel modo migliore per lei.

Dislessia

Cosa è la dislessia?

La dislessia è un Disturbo Specifico dell’Apprendimento che riguarda esclusivamente la lettura decifrativa, e che si manifesta con uno o con entrambi questi aspetti, valutabili con appositi test:

  • eccessiva lentezza rispetto all’età o al livello di scolarizzazione (un bambino di 5° primaria che legge alla stessa velocità di un bambino di 2°, ad esempio)
  • eccessivo numero di errori (scambiare alcune lettere come p-q, b-d, a-e, c-e, invertire la lettura di due lettere, seguire con difficoltà la riga od omettere la lettura di lettere o intere sillabe)

Ci sono altri aspetti di cui tenere conto nella valutazione?

Per diagnosticare la dislessia è necessario escludere la presenza di alcune condizioni che possono provocare sintomi simili alla dislessia, ma che hanno cause differenti e che giustificano quindi un altro tipo di diagnosi:

  • ritardo mentale: se si è in presenza di un deficit intellettivo la diagnosi di dislessia sarà secondaria rispetto a quella di ritardo mentale

  • deficit neurologici o sensoriali: in questo caso la difficoltà in lettura sarà frutto di deficit più ampi che implicano anche altri sintomi

  • assenza o insufficienza di scolarizzazione, lingua madre differente da quella valutata o aspetti contestuali che possano giustificare una carenza in questa competenza

Lettura di approfondimento:  ADHD: sindrome da deficit di attenzione e iperattività

Da cosa è causata la dislessia?

Purtroppo non sono ancora pienamente note le cause di queste particolari manifestazioni, tuttavia attualmente i filoni di ricerca più promettenti riguardano:

  • deficit dei meccanismi sensoriali non linguistici (filone che a sua volta si suddivide in diverse teorie relative al funzionamento alterato delle vie visive, uditive, attentive o di collegamento fra i due emisferi)

  • deficit fonologici (che studia le alterate modalità di elaborazione delle lettere a livello uditivo-fonologico e visuo-percettivo)

Quando è possibile fare diagnosi di dislessia?

La diagnosi, ovvero il riconoscimento ufficiale della presenza di una certa condizione, è la conclusione di un processo di valutazione molto delicato. La diagnosi di dislessia può essere fatta solo a partire dalla fine della seconda primaria, in quanto ci si aspetta che il processo di lettura debba essere ormai automatizzato.

Nell’ambito dei DSA tuttavia è ormai prassi, in caso di difficoltà, proporre un percorso di potenziamento al termine del quale valutare gli eventuali progressi e solo successivamente proporre una diagnosi; la presenza di una forte “resistenza al trattamento” infatti rappresenta uno degli indicatori centrali per distinguere fra dislessia e semplice difficoltà in lettura. Se, nonostante il potenziamento, il bambino presenta ancora difficoltà significative, appare opportuno riconoscere la difficoltà attraverso la diagnosi.

Come già detto in un precedente articolo (Mia figlia era un po’ dislessica, ora è guarita), è importante che la diagnosi sia accompagnata da una relazione che contenga non solo i punteggi relativi alle valutazioni, ma anche un commento a questi, al fine di avere un profilo completo delle competenze valutate.

In cosa consiste il potenziamento? Da chi può essere fatto?

A seconda del profilo funzionale, ottenuto a seguito della valutazione, si può iniziare un percorso di potenziamento che miri a velocizzare la lettura o ridurre il numero di errori.

Lettura di approfondimento:  I disturbi dell'apprendimento: cosa sono e come si manifestano

Le caratteristiche che differenziano il potenziamento funzionale dal semplice esercizio in lettura riguardano:

  • alta frequenza e durata limitata: il potenziamento ha dimostrato maggiore efficacia se effattuato per pochi minuti (circa 15) almeno 3 volte alla settimana

  • selezione di specifiche aree e funzioni (lavorare sulla velocità piuttosto che sulla correttezza, lavorare su specifiche sillabe, ecc)

  • verificare l’andamento del potenziamento attraverso una valutazione da effettuarsi almeno 3 mesi dopo l’inizio del trattamento

  • chiarire con il bambino lo scopo del lavoro e promuovere l’aspetto ludico, motivandolo il più possibile per un lavoro che dal suo punto di vista è oggettivamente difficile e spesso frustrante

  • la presenza di un esperto alla guida del potenziamento, il quale abbia una formazione specifica ed esperienza nel campo della valutazione e del potenziamento (psicologo, logopedista, pedagogista, ecc)

E’ evidente che un esercizio aspecifico, senza limiti di tempo e scopi, rappresenta tutto il contrario di un buon potenziamento, ed è per questo che risulta sempre inefficace e tende solo a stressare il bambino.

Attenzione dunque a giudicare la situazione di un bambino o di un ragazzo che trova difficoltà nella lettura, e soprattutto a fornire consigli senza aver chiare le cause alla base di una certa manifestazione.

Approfondimenti

  • Cornoldi, C. , a cura di (2007). Difficoltà e disturbi dell’apprendimento. Il Mulino (Bologna)
  • Stella, G., & Grandi, L. a cura di (2011). La dislessia e i DSA. Giunti (Firenze)

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