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Il modello gentlecare per il trattamento dell’Alzheimer

Scritto da Dr.ssa Simona Lauri il 10 Giugno 2011
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  • Terza età
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modello gentlecare alzheimer

Indice dei contenuti

  • Il modello gentlecare
    • Il modello protesico
    • Il modello gentlecare
  • I supporti nel modello GentleCare
    • L’ambiente fisico
    • I caregivers
    • I programmi e le attività

modello gentlecare alzheimerIl modello gentlecare

Il modello protesico

Un interessante modello di intervento rivolto al paziente affetto da Alzheimer, ma anche ai familiari è rappresentato dal modello protesico. Punto di partenza di tale modello è la considerazione rispetto al fatto che l’Alzheimer essendo una patologia a carattere degenerativo e progressivo, che con il suo perdurare negli anni comporta inguaribilità e irreversibilità di molti suoi aspetti, finisce col produrre disabilità psichica e fisica che, inevitabilmente, provocano nel tempo un coinvolgimento in senso patologico anche del nucleo familiare (Tamanza G., 2000). Obiettivo principale del modello diviene, dunque, non tanto la guarigione bensì la promozione del benessere della persona e il contenimento dello stress di chi si occupa del malato.

Il modello gentlecare

La centralità del malato e la ricerca e salvaguardia della sua continuità esistenziale ne costituiscono, pertanto, gli elementi fondanti (Moyra J., 2005).

Il modello GentleCare, ideato e promosso da Moyra Jones è un esempio di sistema protesico. Tale sistema si compone di un peculiare iter che vede come prima fase metodologica la conoscenza della persona malata. Si tratta, però, di una conoscenza di tipo clinico-funzionale del malato, che si arricchisce parallelamente della conoscenza in senso biografico del paziente stesso. In questo modo nel modello gentlecare elementi di ordine fisiopatologico, insieme ad elementi di ordine personale e di contesto, concorrono a ridurre la distanza tra la conoscenza oggettiva dei problemi e l’esperienza soggettiva di malattia (Guaita A, Jones M., 2000).

Il secondo momento metodologico dell’iter del modello gentlecare è rappresentato dalla valutazione dell’impatto che la malattia esercita sul singolo malato, dove per valutazione si intende sia un’analisi dei deficit indotti dalla malattia, che delle strategie di compenso che il malato utilizza autonomamente. Secondo la logica del modello gentlecare, inoltre, la valutazione non è da intendersi come semplice applicazione di scale, ma come fase prettamente conoscitiva che precede il momento operativo e che consente di considerare criticamente le scelte operate e i risultati ottenuti. La valutazione del deficit utilizza gli strumenti propri della valutazione multi-dimensionale mentre quella relativa al comportamento spontaneo e delle strategie di compensazione si fonda su elementi di carattere osservativo effettuate dai caregiver, le quali in un secondo momento vengono tradotti in vere e proprie indicazioni operative nell’ambito del piano assistenziale di cura.

Un primo livello di valutazione che i carers devono condurre è una valutazione generale nota nel GentleCare come “general awareness”; rientrano in essa elementi osservativi quali: cosa sa fare il malato; cosa fa;come il malato svolge tale attività; quale parte del compito non riesce a eseguire; perché non riesce ad eseguirlo; dove e quando riesce meglio nell’eseguirlo (Moyra J., 2005).

Il secondo livello di valutazione del modello gentlecare si avvale invece di due tecniche che consentono di organizzare le informazioni derivanti dall’osservazione diretta del malato: la prima è definita tecnica dello “stress profile” nel quale vengono mappati gli eventi della giornata, identificate le sorgenti di stress e fornite le indicazioni a tutti i carers sulle strategie da applicare e di quando applicarle nell’arco delle 24 ore; la seconda è chiamata tecnica del “behaviour mapping” che consiste nell’osservazione del comportamento del paziente nell’arco delle 24 ore e nella traduzione dell’osservazione in un grafico che lo staff utilizza per rappresentare la giornata tipo del malato preso in carico.

Lettura di approfondimento:  Alzheimer: vissuti psicologici e aspetti psicodinamici (I PARTE)

La valutazione culmina, quindi nella definizione della fase di malattia in cui il malato si colloca. Questa fase consente agli operatori, non solo di esprimere un giudizio prognostico, determinante sia per il malato che per i familiari, ma anche di operare delle scelte di fondo per la costruzione del progetto di cura che comportino obiettivi realistici ed evitino obiettivi frustranti, sulla base di un attento bilancio tra punti di forza e punti di debolezza del singolo malato.

Il terzo momento metodologico rappresenta la costruzione del supporto vero e proprio che nella metodologia Gentle Care si articola in tre elementi non separabili e in relazione dinamica l’uno con l’altro: l’ambiente fisico, le persone che curano, le attività e i programmi che contribuiscono a dare un senso alla giornata del malato (Carbone G., Tonali A., 2007).

I supporti nel modello GentleCare

L’ambiente fisico

Per quanto concerne l’ambiente fisico, il modello gentlecare attribuisce un ruolo cruciale dello spazio nel piano di cura. Molte sono le evidenze di come la persona con demenza possa essere particolarmente sensibile a modificazioni ambientali, sia in senso positivo, sia in senso negativo (Guaita A, Jones M. 2000). Nell’ambito della metodologia Gentle Care il paradigma dell’ambiente protesico è individuato nella casa, poiché essa rappresenta la sintesi di molti elementi connessi con la soggettività della persona: rappresenta, infatti, lo spazio di massima familiarità, l’ambito in cui il riconoscimento dello spazio e del suo significato d’uso è immediato, perché ormai introiettato, inoltre costituisce il luogo dove vengono custodite le esperienze e le emozioni più private e più significative per la vita di ciascuno.

Nella costruzione dell’ambiente protesico è possibile fare riferimento ad alcuni criteri guida:

  • Sicurezza: i deficit cognitivi, la perdita di critica e di giudizio proprie della malattia, fanno sì che la persona con demenza tenda a mettersi in situazioni di rischio. In relazione a ciò, quello che più frequentemente si verifica nei carers è la nascita di un bisogno di stretto controllo nei confronti del malato che entra in conflitto con il rispetto dell’autonomia ed autodeterminazione del malato. Tale conflitto diventa spesso per i caregiver fonte di stress. Obiettivo nel progetto gentlecare sia in ambito residenziale che a domicilio è dunque quello di creare spazi interni ed esterni protetti al punto che il malato possa godere del massimo di libertà nel pieno della sicurezza (Guaita A, Jones M. 2000).
  • Facilità d’accesso e mobilità: la libertà di movimento e la fruibilità dell’ambiente consentono al malato di conservare la sensazione di poter controllare lo spazio circostante e di accrescere, dunque, il suo senso di appartenenza e di padronanza nei confronti delle diverse aree. All’interno del modello gentle care è emerso che, cruciale per il malato, anche in fase moderato-severa, è la sensazione di padronanza nei confronti dello spazio più intimo, vale a dire la camera, con il proprio letto e i propri oggetti personali. Questa sensazione può essere accresciuta o sminuita dall’atteggiamento dello staff ospedaliero, per esempio è stato visto che entrare in camera del paziente senza chiedere il permesso mina il senso di controllo, viceversa chiedere la sua autorizzazione lo rinforza (Vitali S.F., 2004). La visibilità delle aree fruibili, inoltre diviene critica, così come il mascheramento delle aree interdette. Accanto alla visibilità diretta, il progetto gentle care considera fondamentale la facilitazione all’interpretazione da parte del paziente degli spazi nei quali vive, si avvale, dunque, di una segnaletica non convenzionale, ma interpretabile  facilmente dal malato. Tali elementi possono essere utilizzati per identificare spazi personali e costruiti con l’aiuto della famiglia e oltre a consentire al malato di identificare il proprio spazio, gli restituiscono il senso di appartenenza e la stima di sé.
  • Funzione ed attività: poiché il malato non è spesso in grado di attribuire allo spazio il suo corretto significato d’uso, il progetto gentle care parte dal presupposto che sia necessario che ogni ambiente suggerisca al malato la funzione a cui è destinato, sia attraverso la configurazione, l’arredo, elementi infrastrutturali che stimolino interesse e possibilità di interazione. Occorre, pertanto, prevedere punti di interesse (es. vista sull’esterno), disporre l’arredo in modo da facilitare l’interazione e la conversazione, compensare i deficit sensoriali disponendo oggetti interessanti alla reale portata del campo visivo, creare opportunità di uso di oggetti normalmente presenti nel quotidiano. La pronta disponibilità degli oggetti di uso comune, consente al malato di esercitare la propria indipendenza funzionale con ripercussioni positive almeno a due livelli: accresce la autonomia, la capacità di scelta della persona con demenza, solleva gli operatori dal dover sollecitare il malato a compiere le attività.
  • Flessibilità e cambiamento: l’ambiente deve sapersi modificare in rapporto al mutare dei bisogni del malato e dei carers. Gli elementi guida di questo cambiamento sono: il potenziamento delle abilità residue, il comfort e il compenso dei deficit per il malato, la miglior gestione degli aspetti di cura da parte dei carers (Guaita A, Jones M., 2000).
Lettura di approfondimento:  Alzheimer: la diagnosi

I caregivers

Per quanto riguarda i caregivers, all’interno del progetto gentle care, oltre ad essere adeguatamente formati e motivati, vengono sollecitati ad operare secondo il principio di condivisione sia degli obiettivi che dei piani di cura. La reale condivisione consente, infatti, di realizzare concretamente il progetto di cura delineato per il singolo malato e di rivedere ed adattare lo stesso piano al cambiare dei bisogni del malato così come al mutare delle situazioni di contesto. La capacità di ogni caregiver di utilizzare un approccio interpretativo alla malattia con il suo insieme di sintomi cognitivi e non cognitivi, viene vista dal modello gentlecare come garanzia di un’adeguata interpretazione dei disturbi del comportamento e di un minor ricorso ad uso di psicofarmaci. Cruciale, in questo senso, risulta l’alleanza terapeutica tra famiglia e operatori. Sia in ambito residenziale che in ambito domiciliare, dunque, un momento importante è costituito dalla comprensione da parte dell’operatore delle dinamiche del caregiving e dell’identificazione degli stili di coping utilizzati dal caregiver, al fine di ridisegnare lo stile del caregiving, cercando in primo luogo di far leva sull’approccio interpretativo, vale a dire sulla comprensione dalla malattia dal punto di vista fisiopatologico e sull’interpretazione e la comprensione da parte del familiare del comportamento del malato alla luce del deficit neuropsicologico (Vitali S.F., 2004).

I programmi e le attività

Per quanto riguarda i programmi e le attività nel modello GentleCare il riferimento è ai concetti legati alla normalità e alla quotidianità.

Le attività elaborate non sono attività di tipo ricreativo, concepite in modo standard e proposte in modo indifferenziato a pazienti diversi, bensì di tutte quelle attività che per ciascuno, costituiscono la giornata del soggetto. Nel GentleCare, pertanto, l’intento principale è quello di ricostruire per ogni malato una routine giornaliera personalizzata che faccia riferimento agli elementi biografici e di contesto noti per quella persona (quindi valori culturali e morali di riferimento, attitudini, propensioni, competenza specifica) che enfatizzino i livelli funzionali esistenti e ottimizzino i punti di forza del malato.

Lettura di approfondimento:  Alzheimer: il conversazionalismo (parte II)

Nel GentleCare i programmi, dunque, sono costruiti in modo tale da:

  • essere il più possibile aderenti allo stile di vita del malato;
  • prevedere attività corrispondenti alle reali competenze adeguatamente rivalutate nelle diverse fasi della malattia;
  • rispondere ai bisogni psicologici  quali bisogno di sicurezza, integrità biologica, di appartenenza, stima di sé e autorealizzazione.

Esempi di corrispondenza tra bisogni ed attività, rispetto al bisogno di sicurezza e integrità biologica, sono: controllo del dolore, posizioni confortevoli, massaggio, riposi adeguati, conservazione dell’energia, routine familiari, coinvolgimento nelle attività strumentali e di base del quotidiano.

Rispetto al senso di appartenenza: oggetti personali significativi da guardare e conservare, animali, piante, possibilità di ascoltare, di toccare, ambienti da allestire.

Per quanto concerne stima di sé: reminiscenze e ricordi, controllo del denaro, possibilità di aiutare gli altri; ed infine per quanto riguarda la realizzazione di sé: insegnare, imparare, ricordare, attività creative, lavoro (Vitali S.F., 2004).

Nel modello gentlecare, pertanto, la singolarità del paziente e del sistema familiare nel quale il soggetto è inserito sono inserite all’interno del quotidiano il quale diventa l’elemento cardine del programma.

Se ti interessa approfondire, leggi anche come trattare l’Alzheimer con la terapia della reminiscenza.


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