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Scritto da Dr.ssa Sabrina Cassottana il 29 Marzo 2016
Categorie
  • Traumi, lutti, perdite e separazioni
Tags

lutto-perinatale«Senza parole non si formulano pensieri. Un dolore cui non si dà voce è un dolore destinato a restare privato, perché mancano le parole per poterlo definire, pensare e condividere».

Claudia Ravaldi

Indice contenuti

  • Il lutto perinatale
  • Un dolore troppo grande
  • Il rito per lasciare andare
  • Le biglie di Erika

Il lutto perinatale

Tecnicamente si definisce morte perinatale la perdita di un figlio che avviene tra la 27a settimana di gravidanza e i 7 giorni dopo il parto e la si distingue dall’aborto, che è invece la perdita dell’embrione o di un feto prima della 27a settimana.

Dal punto di vista emotivo, tale differenziazione pare una forzatura, dato che il dolore per la perdita di un figlio resta tale sia prima, sia dopo un termine temporale che stabilisca l’etichetta più appropriata da utilizzare per nominare un evento del genere.

Talvolta si fa fatica a comprendere come sia possibile che la morte di un bambino non ancora nato, vissuto così poco, possa lasciare un vuoto tanto grande. La difficoltà nell’elaborare il lutto prenatale sta nel fatto che si tratta della morte di qualcuno che non è nato e ciò, di per sé, è una contraddizione. Per tale motivo, superare la barriera del ‘non nato’, conferendo un’identità al bambino perso, aiuta a superare questa contraddizione e facilita l’elaborazione del dolore.

Un dolore troppo grande

«Cercavo una parola che mi definisse, […] ma non c’è ‘genitore di un figlio morto’. C’è chi sostiene che questa parola non sia stata coniata perché un dolore così non è definibile in nessun modo che non diventi riduttivo, c’è chi pensa che non sia logico cercare di definirsi in qualche altro modo se non ancora genitore, perché genitori si è sempre, anche se i propri figli muoiono e c’è chi sostiene che questa parola nella nostra cultura non esista perché la nostra cultura rifiuta di affrontare questo tipo di lutto, di dargli il peso che ha, di dargli lo spazio di cui necessita». Erika Zerbini

Mentre la gioia di una nascita è condivisibile con i progressi di crescita del bambino nato, il dolore della perdita non è raccontabile: tutti lo sanno, nessuno ne sa parlare, nessuno ci può far niente e ‘bisogna guardare avanti’.

Le parole degli altri hanno un grande peso, siano esse dette in modo irrispettoso o indelicato, o non dette per rispetto o per incapacità. Non si dovrebbe sminuire il dolore adducendo alla presenza di altri figli o alla possibilità di ‘riprovarci’, perché non è mai consolatorio. Spesso un genitore ha semplicemente bisogno di potersi dire in lutto, senza dover giustificare il suo dolore per il fatto che non essendo ‘tecnicamente’ nato nessuno, non sia nemmeno morto nessuno.

Non sempre è necessario dire qualcosa, anzi, spesso il silenzio è la scelta migliore.

Ciò che è veramente indispensabile è riconoscere e accettare il dolore dei genitori, che è reale come il figlio perso.

Il rito per lasciare andare

«Dal giorno della sepoltura le mie braccia sono state più leggere, come se non dovessero più portare il peso di quel bambino che non c’era».

Erika Zerbini

Da che esiste l’uomo, i riti hanno una grande valenza terapeutica perché vengono messi in atto parole, gesti e azioni ‘sananti’ che aiutano la persona a superare i momenti di trasformazione dell’esistenza.

Molti non sanno che è possibile dare sepoltura ai bambini morti prima di nascere, eppure ‘dare un posto’ fisico su questa terra può essere un aiuto importante per il genitore perché gli si permette di sapere dove pensare suo figlio e di rendersi conto di doverlo ‘lasciare andare’. Piangere accompagnando un bambino al cimitero, infatti, non significa non lasciarlo andare, ma esternare il dispiacere derivante dal doverlo fare.

Le biglie di Erika

Erika Zerbini è una mamma che ha deciso di dare voce al suo dolore, spezzando il muro di silenzio dietro al quale si tende a nascondere una maternità interrotta.

Ha trasformato la sua esperienza in un libro, «Questione di biglie», che è la testimonianza trasparente e sincera del suo percorso di elaborazione del lutto.

La scrittura facilita la percezione dei sentimenti, permette di entrare a contatto con essi per accompagnarli nella loro naturale evoluzione e le parole stanno alla base di questo processo: «Io sono viva e tu no: non ho potuto fare nulla per salvarti, per tenerti al sicuro. Sono impotente davanti a tutto». Ecco il punto di partenza.

Dopo aver fatto tutto ciò che è necessario per ‘guarire’ il lutto, occorre lasciare che il tempo faccia il suo corso, che alcune emozioni si sedimentino, altre maturino, altre compaiano. Perché, come dice Erika, «la vita è un sottile equilibrio fra paura e speranza».

Bibliografia e sitografia

  • E. Zerbini, Questione di biglie, Eidon Edizioni (2012)
  • www.professionemamma.net
  • www.psico-terapia.it/lutto-perinatale

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