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La ricerca per una psicoterapia efficace
Il panorama che caratterizza le ricerche che si pongono l’obiettivo di studiare quale psicoterapia efficace si dimostra tale è attualmente eccessivamente complicato; ancora, la “moda” imposta dai cosiddetti “Trattamenti supportati empiricamente” circa il tentativo, sulla base di criteri specifici, di dar vita a delle linee guida sui trattamenti di elezione per un’ampia gamma di disturbi sembra allontanare ulteriormente la distanza che esiste tra ricerca e pratica clinica.
Analizzando infatti ogni singolo suggerimento proposto dagli EST è possibile notare come essi siano poco spendibili all’interno della pratica psicoterapeutica.
I criteri della psicoterapia efficace
Vediamo nel dettaglio i criteri che rendono una psicoterapia efficace:
- I processi psicologici sono fortemente malleabili. Secondo questo criterio i processi psicologici sottesi ai disturbi possono essere facilmente modificabili ed in tempi brevi. Numerosi, però, sono gli studi che testimoniano come la maggior parte dei disturbi sia fortemente resistente al cambiamento e che i tempi impiegati per ottenere un risultato terapeutico positivo possono variare notevolmente sulla base delle caratteristiche del paziente.
- La maggior parte dei pazienti ha un solo sintomo e può essere trattata come se così fosse. Tale criterio si scontra con il concetto di comorbidità dei disturbi psichiatrici (presenza simultanea nella stessa persona di più patologie che tra loro non presentano alcun legame); numerosi sono infatti i pazienti che lamentano più di un disturbo che difficilmente può essere trattato in maniera isolata.
- I sintomi possono essere compresi e trattati in modo isolato dalla personalità del soggetto. Attraverso questo criterio gli EST agevolano l’utilizzo trattamenti rivolti ai soli sintomi (tutti manualizzati, per esempio un trattamento manualizzato per la depressione, uno per l’ansia generalizzata) senza tener conto che molta della sintomatologia manifestata dai pazienti si intreccia e può essere considerata connessa a fattori di personalità.
- I pazienti, all’inizio della terapia, desiderano riferire, e sono in grado di farlo, i motivi della loro sofferenza. Tale affermazione deriva dal fatto che nel campione di pazienti raccolto per validare gli EST vengono inclusi solo soggetti che presentano un solo disturbo collocabile sull’asse I del DSM senza prendere in considerazione quella grossa fetta di pazienti che spesso avverte e presenta un quadro più diffuso e impreciso.
- Gli elementi di una psicoterapia efficace sono dissociabili gli uni dagli altri e cumulabili tra loro. Questo assunto implicitamente esclude tutti quei trattamenti (psicoterapie dinamiche) che, essendo poco strutturati, difficilmente riescono ad estrapolare elementi e strategie.
- Gli elementi di un trattamento efficace possono essere scritti in forma di manuale, e gli interventi specifici nel manuale sono gli unici che possono essere messi in relazione causale con l’esito del trattamento. Un criterio di questo tipo non è in grado di mettere in evidenza l’importanza che esercita la relazione terapeutica la quale, anche se non da sola, rappresenta un importante fattore per il successo del trattamento.
Ma cosa rende un trattamento veramente efficace?
I lati oscuri degli EST possono continuare, se ci si sofferma su un altro aspetto: in relazione agli attuali criteri, è stato stabilito che affinché un trattamento efficace sia considerato tale è sufficiente che sia in grado di mostrare la sua efficacia confrontandosi con la condizione di non trattamento (per esempio la lista di attesa). Usando questo pericoloso criterio, “virtualmente ogni intervento è superiore ad un non-trattamento, specialmente per i disturbi d’ansia e dell’umore” (p. 417, Herbert, 2003), e quindi anche le preghiere ed il placebo possono essere inclusi nella lista. A ciò si aggiungono altri due elementi:
- Il livello standard minimo che consente ad un trattamento di essere annoverato nella lista dei trattamenti supportati empiricamente consta di 2 studi a favore nonostante altri studi conducono ad esito negativo.
- Non è inclusa nei criteri la possibilità di eliminare dalla lista i trattamenti nonostante nuovi studi si mostrano nettamente superiori al trattamento inserito inizialmente.
Perfino il sistema sanitario sembra accogliere il filone inaugurato dagli EST per cui solo alcune forme di psicoterapia vengono finanziate con la conseguenza implicita che il servizio sanitario possa indirizzare gli psicoterapeuti ad avvalersi per specifiche diagnosi di determinati approcci al fine di ottenere rimborsi.
Un interessante spunto metodologico proviene da quanto affermato da Nardone:
«Proponiamo dunque di tornare ad un approccio clinicamente ed ecologicamente valido nella ricerca in psicoterapia, dove alcuni pazienti (con la stessa diagnosi da DSM) possano seguire differenti trattamenti “attivi” (senza controllo, placebo o procedure con liste di attesa), con la misurazione dei differenti miglioramenti utilizzando non solo i test tradizionali (troppo spesso basati sulla CBT), ma anche la cosiddetta “tecnica della scala” (de Jong & Berg, 2001; Nardone, 1996; Nardone & Watzlawick, 1993, 2004) per rilevare la soddisfazione congiunta tra terapeuta e paziente relativamente ai risultati terapeutici. Questa tecnica è molto semplice da gestire e consiste nel dare una valutazione numerica alla situazione del paziente. Ciò può trasmetterci dati chiari circa le convergenti o divergenti opinioni relative alla psicoterapia dai punti di vista del cliente e del professionista clinico (Nardone, 1996; Nardone & Watzlawick, 1993, 2004)».
Approfondimenti
- G, Castelnuovo, E. Faccio, E. Molinari, G. Nardone, A. Salvini, Un’analisi critica degli “Empirically Supported Treatments” (ESTs) e della prospettiva dei “fattori comuni” in psicoterapia.
- N. Dazzi, V. Lingiardi, A. Colli, La ricerca in psicoterapia. Raffaello Cortina Editore, 2006
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