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Vecchie e nuove dipendenze: il profilo del dipendente
Ad oggi si sente sempre più spesso parlare di “vecchie” e “nuove” dipendenze, come se le une fossero state soppiantate dalle altre o se si volesse fare riferimento a una sorta di “evoluzione” delle prime. Non è proprio così.
La differenza è molto semplice: le cosiddette “vecchie dipendenze” sono quelle che implicano non solo una dipendenza psicologica, ma anche e soprattutto una dipendenza fisica. Sono le classiche dipendenze da sostanze (es.: alcool, cocaina, eroina, psicofarmaci, LSD, cannabis, ecc.). Le “nuove dipendenze”, invece, sono di stampo prettamente psicologico e consistono nella ripetizione ossessiva di comportamenti, dei quali si diventa schiavi. Sono esempi di questa categoria: il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da internet e da telefono cellulare, la dipendenza affettiva, la dipendenza da lavoro, lo shopping compulsivo, ecc.
Ciò che hanno in comune tutte queste molteplici dipendenze è l’impulso irrefrenabile a compiere un’azione per evitare di subire una situazione di forte ansia e stress, la cui entità è proporzionale all’intensità della dipendenza.
Che cosa c’è, invece, di diverso? Quali sono le differenze tra un alcolista e una persona dipendente dal lavoro? Oppure tra un giocatore patologico e un dipendente affettivo? Cerchiamo di tracciare un profilo psicologico di alcune principali forme di dipendenza.
Il profilo dell’alcolista
Considerando che l’alcol ha un effetto anestetico sui meccanismi organici ed emotivi delle persone, non è difficile comprendere il detto “annegare i dispiaceri nell’alcol”: il punto di partenza di questa forma di dipendenze è quasi sempre una situazione che causa sofferenza fisica (es.: i postumi di incidenti o malattie croniche dolorose) o psicologica (es.: infelicità per insuccessi lavorativi o scolastici, problematiche familiari, lutti, rotture relazionali, ecc.).
La persona che diventa alcolista, spesso ha alle spalle una relazione con i propri genitori piuttosto problematica: è possibile che uno dei due fosse assente fisicamente o emotivamente, che fossero forti bevitori o alcolisti a loro volta, che mamma o papà, o entrambi, non fossero disponibili a confrontarsi con il figlio. Questa indisponibilità affettiva lascia un vuoto che innesca il bisogno di dipendenza: ci vuole qualcosa che “riempa” la voragine lasciata dall’assenza di legami emotivi forti e stabili.
La personalità dell’alcolista si sviluppa da un nucleo depressivo, caratterizzato da un atteggiamento interno, cioè rivolto inconsciamente verso se stessi, di tipo persecutorio e punitivo. Questo può dare origine a idee paranoiche e, soprattutto, a forti sensi di colpa. È proprio per scappare da questi sentimenti che si comincia a bere.
Spesso l’alcolista, sposandosi, crea una famiglia basata su un rapporto di coppia sado-masochista di forte dipendenza reciproca: il coniuge diventa il custode del legame patologico, ma senza poter intervenire in modo veramente terapeutico. Se l’alcolista smette di bere, si assiste spesso alla caduta in depressione del coniuge, che improvvisamente perde il suo ruolo o scopo principale e la sua utilità. In famiglie di questo tipo, sono i figli ad avere le ricadute più pesanti sul lungo periodo, in quanto, non disponendo di un modello genitoriale positivo con cui identificarsi, possono rimanere invischiati in circoli viziosi e cadere a loro volta nella dipendenza.
Il profilo del tossicodipendente
Eroina, cocaina, metadone, cannabis, allucinogeni, amfetamine… Il mondo delle tossicodipendenze è talmente vasto da obbligarci a semplificare e generalizzare.
Un aspetto comune della personalità del tossicodipendente è la forte componente masochistica e narcisistica. Che cosa vuol dire? Significa che le modalità con cui vengono assunte le sostanze implicano una certa dose di sofferenza autoinflitta (es.: il “bucarsi”) e tutto il rituale di preparazione che precede l’assunzione porta con sé la consapevolezza dell’atto di auto-distruzione che si sta per compiere. Il narcisismo si spiega, invece, per il fatto che la sostanza assunta dà un senso di dominio sugli altri e, quindi, regala la sensazione di non avere bisogno di nessuno.
Analizzando le famiglie dei tossicodipendenti, si nota che spesso la coppia genitoriale è in crisi. La madre, di solito, è profondamente narcisistica, cioè non è capace di provare empatia verso gli altri, e vive col figlio un rapporto privilegiato, spesso addirittura simbiotico. È come se i due fossero ancora legati dal cordone ombelicale, e questa “gravidanza prolungata” di fatto esclude il padre dal rapporto. La tossicodipendenza, paradossalmente, mantiene questo equilibrio patologico perché impedisce al figlio di sviluppare la propria autonomia e di prendere la giusta distanza dalla madre, che, di conseguenza, rimane a sua disposizione: tutto ciò non fa che accrescere il senso di onnipotenza e di controllo del tossicodipendente.
Il profilo del giocatore d’azzardo
Possiamo dividere il gioco d’azzardo in tre macro aree:
- giochi di “isolamento”, come video poker e slot machines: producono estraneazione dalla realtà e vengono scelti da persone che cercano di scappare dall’ansia, dalla rabbia, dalla noia o da altre emozioni negative. Il gioco rappresenta, quindi, una via di fuga da una realtà che provoca insoddisfazione o sofferenza, assumendo il ruolo di un vero e proprio analgesico;
- giochi di azione: vengono scelti dalle persone che hanno bisogno di stimoli e sensazioni forti per sentirsi attivi e vitali. Si tratta, tipicamente, di persone amanti del rischio e di situazioni “intense”, insolite ed estreme, che poco tollerano la noia e la routine e che diventano irrequiete quando le circostanze vengono percepite come poco stimolanti;
- giochi “socializzanti”, come le scommesse alle corse dei cavalli: sono l’opposto dei giochi di isolamento, dato che i giocatori si sentono parte di un gruppo e, tendenzialmente, non si sentono in competizione l’uno contro l’altro, ma contro un “sistema” che si arricchisce grazie alla loro attività.
Ciò che accomuna queste tre tipologie di dipendenti è il “motore” che alimenta la dipendenza: il masochismo. Il giocatore patologico ha una forte spinta aggressiva e pulsionale inconscia, il gioco è un mezzo per soddisfare questi “istinti proibiti” e quindi genera sensi di colpa. Per metterli a tacere, il giocatore dipendente continua a giocare con il desiderio inconscio di perdere per essere punito, con un sentimento di “piacevole tensione” simile a ciò che si provava da bambini nell’attesa della punizione di un genitore.
Il giocatore patologico solitamente è una persona molto impulsiva e perseverante, poiché persiste nella sua condotta in modo impetuoso nonostante vittorie e sconfitte; spesso evidenzia intolleranza verso il fallimento, cioè non sopporta di perdere e quindi continua a giocare compulsivamente per recuperare il denaro perduto; infine si dimostra disinteressato alle conseguenze sul piano economico, familiare e sociale.
A sostegno di questo tipo di dipendenza, intervengono anche degli errori nei meccanismi di pensiero. Il giocatore patologico tende, per esempio, ad avere l’illusione di poter controllare il risultato del gioco in base alle caratteristiche dell’avversario, come se si trattasse di una gara di abilità e non di un evento aleatorio. Si rilevano spesso delle vere e proprie distorsioni cognitive che permettono di interpretare la realtà in modo tale da avere la percezione onnipotente di poter controllare situazioni oggettivamente incontrollabili. È così che il giocatore patologico sottovaluta i fallimenti ed esalta i successi, anche quando le vincite non compensano le perdite precedenti.
Approfondimenti
- Bolen D. W., Boyd W. H. (1968). Gambling and the Gambler. A Review and Preliminary Findings. Archivies of General Psychiatry, 18(5): 617-630.
- Croce M. e Zerbetto R. (a cura di) (2001). Il gioco & l’azzardo. Milano: Franco Angeli.
- Guerreschi C. (2000). Giocati dal gioco. Milano: San Paolo.
- Vitaro F., Arsenault L., Tremblay R. E. (1999). Impulsivity predicts problem gambling in low SES adolescent males. Addiction, 94 (4), 565-575.
- Zuckerman M. (1983). La ricerca di forti sensazioni. Psicologia Contemporanea, 59, 27-33.
SITOGRAFIA
www.siipac.it
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