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Sappiamo che fumare fa male, assumere droghe fa male, abusare di cibo e alcol fa male. Sono dipendenze e fanno male. Ma abbiamo mai pensato che anche l’amore può far male?
Siamo in grado di riconoscere la dipendenza affettiva nella nostra relazione?
Molti risponderanno di sì ricordando alcune drammatiche storie che la cronaca ci riporta quasi ogni giorno. Vicende amorose facilmente definite come “relazioni malate”.
Sono storie dove i partner vivono il rapporto in maniera tale da sviluppare una vera e propria dipendenza che innesca una spirale di comportamenti sempre più disfunzionali che culminano in violenze fisiche gravi o gravissime nei confronti del partner o di sé stessi, fino al male estremo dell’omicidio, del suicidio o di entrambi.
In questi termini, chi si trova in una relazione in cui non ha mai subito lesioni, oppure non ha mai pensato di procurare sofferenza fisica al partner, potrebbe sospirare di sollievo e concludere di vivere l’amore in maniera positiva e “sana”.
Per moltissimi è senz’altro così. Ma molti altri, pensandoci bene, potrebbero invece avvertire la sensazione che in quella relazione non stanno poi così bene come si aspettavano all’inizio, anche in assenza di comportamenti o desideri lesivi.
Quella è la spia che avvisa che è tempo di prendere in mano la situazione.
Indice contenuti
Dipendenza affettiva
Perché l’amore fa male
Ad esclusione delle droghe che possono avere esiti letali anche con assunzioni limitate, e perfino con una sola assunzione, per tutti gli altri esempi di dipendenza prevedere esiti nefasti è facile quando la quantità della sostanza assunta è vistosamente elevata e fuori controllo.
Eppure, sappiamo che ci possono essere molte conseguenze negative e gravi sulla nostra salute e sul nostro benessere anche quando non si raggiunge l’estremo.
Per la dipendenza affettiva accade qualcosa di simile. I comportamenti disfunzionali possono non manifestarsi drammaticamente con la violenza fisica, ma con tutta una serie di altre modalità socialmente più accettabili, o perfino mascherate da scelte culturalmente auspicabili, che rendono la relazione una prigione senza sbarre, più o meno dura.
E stare in prigione, si sa, fa male.
La differenza tra cattive abitudini e dipendenza
Qualcuno potrebbe obiettare che gli eccessi nel mangiare e nel bere ed il fumo siano solo cattive abitudini, e che forse anche certi modi di vivere le relazioni lo siano. In qualche caso è possibile che sia così.
Ma avete mai provato a chiedere a qualche fumatore di rinunciare alle sigarette? E per quanto riguarda cibo e alcol, qualcuno ha fatto l’esperienza di essere messo seriamente a dieta?
I meccanismi e i vissuti alla base della dipendenza affettiva sono paragonabili, e generano purtroppo un circolo vizioso.
- In prima battuta si vive una condizione di ebbrezza, cioè di piacere, nello stare accanto al partner che viene visto come fonte di un benessere che si crede non sia ottenibile in altro modo.
- Quest’esperienza di piacere sviluppa una tolleranza, per cui, con il tempo, gli svariati modi in cui questa vicinanza al partner si esprime creano assuefazione e “si alza l’asticella”, restringendo sempre più gli ambiti della propria vita in cui il partner non gioca un ruolo.
- Ogni volta che per qualunque circostanza di vita il partner si allontana, e non solo fisicamente, si entra in uno stato di astinenza dovuto al fatto che ormai l’altro viene percepito come condizione essenziale per la propria vita.
- Lo stato di allarme elicitato dall’astinenza spinge all’azione, cioè a adottare tutta una serie di comportamenti disfunzionali incontrollabili volti a ripristinare la condizione di benessere tornando al punto di partenza.
Ricerca o rifiuto: due facce della stessa medaglia
L’emozione di base che determina l’attivazione dei comportamenti disfunzionali è dunque la paura. Il pericolo risiede nell’assenza dell’altro. L’idea di perdere l’altro e di essere abbandonati è il fulcro della dipendenza affettiva.
Verrebbe intuitivamente da pensare che nella dipendenza affettiva la reazione alla paura scateni comportamenti spasmodici di ricerca e avvicinamento all’altro. Questo è vero in moltissimi casi, ma quasi in egual misura ci sono persone che esprimono il disagio in maniera diametralmente opposta e cioè con comportamenti di rifiuto.
Si tratta di persone che avvertono la stessa paura di perdita e abbandono, ma che vi reagiscono in maniera “preventiva”. Allontanano per non essere allontanati, abbandonano per non essere abbandonati.
E non solo le due diverse risposte costituiscono le due facce della dipendenza affettiva, ma molto spesso costituiscono anche le due facce della stessa relazione poiché è tipico incontrare coppie in cui si uniscono partner con lo stesso bisogno di amore ma espresso in modo opposto al proprio.
È facile immaginare come relazioni basate su queste dinamiche si trasformino con il tempo in un intreccio sempre più stretto in cui si vive in costante tensione, fino a sperimentare un senso di oppressione non sostenibile nel lungo termine e che può portare a conseguenze gravi in aree importanti della propria vita.
Uscire dalla dipendenza affettiva
La difficoltà principale è costituita dal mancato riconoscimento dell’esistenza del problema, atto fondamentale alla base della sua risoluzione.
Ciò è dovuto molto spesso al contesto sociale e culturale in cui siamo immersi. Ci vengono proposti modelli di relazione dove più si soffre più l’amore è grande, dove la simbiosi è la quintessenza della felicità, dove l’avvertire di non poter vivere senza l’altro è segno di un sentimento autentico. Soffermatevi sui testi di molte “canzoni d’amore”, o di alcuni romanzi…
Con questi presupposti è facile sentirsi confusi e non riuscire a capire come mai avvertiamo un costante malessere che probabilmente non riusciamo nemmeno a definire o a nominare.
In questi casi l’aiuto di uno psicologo psicoterapeuta offre la possibilità di compiere l’importante primo passo sul cammino della libertà affettiva e dell’amore autentico.
Alessandra Galli e Davide Algeri
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