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Negli articoli precedenti abbiamo appreso come possiamo utilizzare la Comunicazione Non Violenta per esprimerci e per relazionarci con gli altri nel modo più autentico e meno conflittuale possibile.
Ricordate? La CNV mette in luce i fatti ai quali reagiamo, le emozioni che proviamo in relazione ad essi e i nostri veri bisogni; inoltre ci aiuta a fare richiesta di ciò che potrebbe realmente arricchirci.
L’applicazione più importante della CNV si ha nel modo in cui trattiamo noi stessi, ovvero, nel nostro dialogo interno. Se siamo violenti verso noi stessi – e lo siamo quasi tutti! – è difficile che possiamo offrire vera empatia agli altri.
Quando i pensieri critici che normalmente formuliamo su noi stessi sono così preponderanti da impedirci di vedere anche i nostri aspetti di risorsa e potenziale, oltre che i limiti, perdiamo di vista l’amore per noi stessi e sgretoliamo poco alla volta la nostra autostima.
Abbiamo imparato a valutare ciò che siamo e ciò che facciamo in un modo che ci spinge a denigrarci e ad auto-disprezzarci, rendendo più difficoltoso, se non impossibile, l’apprendimento e l’evoluzione. Se vogliamo arricchire la nostra vita, occorre cominciare a valutare eventi e situazioni in modo tale da poter imparare da essi e fare scelte che ci aiutino a progredire.
Per renderci conto di quanto violenti sappiamo essere con noi stessi, proviamo a pensare ad un’occasione recente in cui abbiamo fatto qualcosa che era meglio evitare o fare diversamente… un’occasione che si è rivelata motivo di biasimo o imbarazzo. Qual è stata la nostra reazione interna? Che cosa ci siamo detti mentalmente? «Ma che scemo che sono!», «Mai una volta che riesca ad evitare figure del genere!», «Questa prima o poi la sconto», «Non ne combino una giusta»… Queste frasi appartengono a quelle persone che hanno imparato a giudicarsi in modi che implicano che le proprie azioni siano sbagliate o cattive. L’auto-ammonizione sottende che pensiamo di meritare di soffrire o di essere puniti per l’accaduto.
A volte, si ‘impara la lezione’ anche dopo una severa autocritica, tuttavia, sarebbe auspicabile che il motore del cambiamento fosse il desiderio di migliorarci, piuttosto che un’energia distruttiva come il senso di colpa o la vergogna. Le azioni che nascono in reazione a queste emozioni, non sono mai libere e gioiose e quando gli altri se ne accorgono sono meno inclini ad apprezzare ciò che facciamo.
Il verbo «dovere», quando usato in frasi come «Avrei dovuto saperlo» o «Non avrei dovuto farlo», assume una forte connotazione violenta e ha un grande potere di creare vergogna e senso di colpa. Lo usiamo comunemente quando giudichiamo noi stessi, ma, così facendo, ci impediamo di imparare perché «dovere» implica che non abbiamo scelta. L’essere umano, quando percepisce una pretesa, automaticamente oppone resistenza perché la interpreta come una minaccia all’autonomia.
Reagiamo in questo modo anche quando si tratta di una ‘tirannia interiore’: «Dovrei mettermi a dieta», «Dovrei smettere di fumare» sono frasi che esprimono pretese. Se cediamo e ci ‘sottomettiamo’ ad esse, le nostre azioni saranno stimolate da un’energia priva di gioia vitale, pertanto sarà più facile fallire o desistere dall’intento iniziale.
Ogni volta che diciamo che qualcuno è cattivo o ha torto, in realtà stiamo pensando che questa persona non si sta comportando in armonia con i nostri bisogni. Questo vale anche quando apostrofiamo noi stessi, quindi, perché non provare a valutarci in un modo che ci ispiri a cambiare, ma che sia motivato dal rispetto e dall’empatia verso noi stessi?
Come fare? All’ennesimo rimprovero, chiediamoci: «Quale bisogno non soddisfatto sto esprimendo con questo giudizio?». Quando entriamo in relazione con il bisogno (o con i diversi bisogni presenti), ci accorgiamo che invece di provare depressione, senso di colpa o vergogna, sentiamo dispiacere, timore o delusione… Sentimenti non piacevoli, d’accordo, ma dato che inducono ad agire nel modo corretto per soddisfare il nostro bisogno, sono sentimenti utili!
Lo step successivo è il perdono: «Quando mi sono comportato nel modo che ora mi rincresce, quale mio bisogno stavo cercando di soddisfare?». Agiamo sempre per soddisfare un nostro bisogno, sia che l’azione si riveli efficace o meno, sia che finiamo per essere contenti o dispiaciuti di quanto fatto. Quando cogliamo questa connessione, ci è davvero possibile perdonarci per aver mancato l’obiettivo. Più ci alleniamo a metterci in contatto con i nostri bisogni, più diventiamo bravi ad agire creativamente per soddisfarli.
Anche il lavoro più duro contiene un elemento di gioco e anche l’attività più divertente perde la sua piacevolezza se fatta per dovere, obbligo, senso di colpa o vergogna. Per fortuna, c’è una via di scampo: sostituire le pretese con le scelte. Ma come possiamo trasformare i ‘devo’ in ‘scelgo’?
Rendendoci conto dei bisogni che le nostre azioni soddisfano, esse diventano piacevoli anche quando richiedono sforzo, impegno e frustrazione.
Ci può capitare di individuare alcune di queste false motivazioni come motore delle nostre azioni:
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