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aperte a forza da cugini e zii e uomini
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così che perfino in un letto pieno di sicurezza abbiamo paura.
Rupi Kaur – Milk and honey
Oggi giorno sentiamo parlare sempre più spesso di violenza di genere o di violenza contro le donne.
Secondo l’ultima indagine condotta dall’ISTAT nel 2014, quasi una donna su tre ha subito una qualche forma di violenza fisica e/o sessuale, nel corso della sua vita.
Ancor più allarmante è il dato che determina che nella quasi totalità dei casi, gli autori di queste violenze sono i partner attuali o gli ex partner delle vittime.
In Italia ogni due giorni una donna muore per il solo fatto di essere donna, per mano di uomini, con i quali intrattenevano una relazione di natura sentimentale.
In questo articolo, vedremo insieme come si manifesta questa violenza e quali sono le cause. Analizzeremo le principali resistenze e i meccanismi psicologici che ci impediscono ancora oggi di vedere la realtà dei fatti e infine scopriremo come poter aiutare le donne che subiscono violenza.
Indice contenuti
Cos’è la violenza di genere?
L’ONU definisce violenza di genere, “ogni atto di violenza in base al sesso che produca o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche, coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata”.
Essa comprende una vasta gamma di abusi sulle donne riconosciuti dal Consiglio d’Europa (1997), tra i quali lo stalking, gli abusi sessuali, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, gli stupri di guerra o etnici e l’aborto selettivo.
All’interno di questa macro-categoria troviamo anche la violenza domestica, che è la forma più frequente di violenza di genere, ed è la violenza che viene agita sulla donna da parte di un partner intimo (marito, compagno, fidanzato) quindi all’interno di una relazione sentimentale.
Le varie forme della violenza
Esistono diverse forme di violenza (fisica, sessuale, economica, psicologica, lo stalking).
Vediamo come si manifestano.
La “violenza fisica” si esplicita attraverso l’uso della forza: entro questa categoria rientrano le botte (pugni, calci, schiaffi), le bruciature, i tentativi di strangolamento così come le minacce con l’uso di armi.
Con il termine “violenza psicologica” (che è la forma più frequente di violenza domestica) si intendono invece tutti quei comportamenti che hanno la finalità di danneggiare l’integrità e l’autostima della partner (intimidazioni, urla, insulti, rimproveri costanti, svalutazioni, minacce, isolamento forzato, controllo)
Con la dicitura “violenza economica” invece identifichiamo tutti quei comportamenti tesi a produrre dipendenza economica o ad imporre impegni economici non voluti, come ad esempio il controllo dello stipendio e delle entrate famigliari. Rientra in questa categoria anche il divieto di lavorare o l’obbligo di lasciare il lavoro
La “violenza sessuale” non comprende solamente lo stupro (come è da immaginario comune) ma anche tutti i comportamenti a sfondo sessuale che la donna vive come umilianti e degradanti (battute e prese in giro a sfondo sessuale, esibizionismo, telefonate oscene, proposte ricattatorie di rapporti sessuali non voluti, palpeggiamenti)
Infine con il termine “stalking” intendiamo tutta una serie di comportamenti persecutori protratti nel tempo, tesi a far sentire la vittima continuamente controllata, in stato di pericolo e tensione costante come ad esempio pedinamenti, molestie telefoniche, via mail, via messaggio, appostamenti sotto casa e sul luogo di lavoro, danneggiamenti all’auto o ad altre proprietà.
La matrice della violenza di genere
Superare gli stereotipi è di fondamentale importanza per poter far luce sulle cause e sull’origine di questo tipo di violenza.
Quel che è certo è che non è l’amore o la passione a dar origine alle azioni violente di un uomo sulla sua partner, quanto piuttosto la sua volontà di prevaricarla e dominarla.
Si tratta di un fenomeno strutturale e ciò significa che al di là delle forme attraverso cui la violenza viene agita (le abbiamo descritte prima), al di là dell’identità dell’autore della violenza, sia esso padre, fratello, marito, convivente, ex partner o una persona sconosciuta alla vittima, la struttura che accomuna tutti i casi di violenza domestica è unica e deve essere ricercata nella disparità, ancora oggi esistente, nei rapporti di forza e potere tra il sesso maschile e quello femminile.
La violenza di genere è quindi un fenomeno culturale; affonda le sue radici nella struttura patriarcale della società, che legittima questo tipo di violazioni basandosi sull’idea di “naturale” inferiorità della donna rispetto all’uomo.
La ruota della violenza
L’andamento della violenza domestica è ciclico. Generalmente ha inizio da una situazione di violenza psicologica che mina l’autostima della partner e ne sopisce le resistenze, per poi proseguire in un’escalation durante la quale si verifica un aggravamento della situazione di violenza (spesso, anche se non in tutti i casi, compaiono in questa fase le prime aggressioni fisiche).
La violenza raggiunge così dei picchi di gravità mai raggiunti in precedenza; successivamente il partner che, dopo lo “sfogo violento”, teme di perdere il controllo e il potere sulla sua partner, tende a scusarsi e a promettere un cambiamento; ricopre la partner di attenzioni, regali, fiori, giura di andare in terapia. Finché non riesce a farsi perdonare. Questa fase viene definita dagli esperti “luna di miele”. Una volta ripreso il controllo sulla situazione e sulla compagna, le violenze ricominciano con nuova forza, la ruota ricomincia a girare.
La punta dell’iceberg: il femminicidio
Purtroppo non tutte le donne hanno la fortuna di riuscire a liberarsi dal giogo della violenza e spesso perdono la vita nel tentativo di riuscirci. Parliamo in questo caso di femminicidio.
Ma cosa significa? La parola femminicidio è un neologismo creato per indicare un omicidio la cui vittima è una donna e in cui, il movente del crimine stesso, è il genere della vittima. Parliamo quindi dell’uccisione di una donna perché è donna, spesso perpetrata all’interno di legami famigliari e sentimentali.
L’utilizzo di questa parola ha suscitato molte polemiche. Molti sostengono che in questo modo si sottintenda che queste vittime, le donne uccise dai propri mariti, fidanzati o ex compagni, siano più importanti di altre.
In realtà la legislazione italiana non contempla un reato a sé stante di femminicidio inteso come uccisione di una donna per questioni di genere; però dal punto di vista penale, per il reato di omicidio è stata prevista un’aggravante nel caso in cui l’assassino abbia avuto una relazione di natura sentimentale con la vittima (legge sul femminicidio 119/2013).
Al di là degli aspetti legali, è importante riconoscere l’utilità della parola femminicidio: serve perché dà concretezza ad un qualcosa che nella storia è sempre stato ignorato o ritenuto naturale, e al contempo certifica l’esistenza di un fenomeno (quello della violenza di genere) che come abbiamo già detto ha una sua struttura specifica e che può sfociare nell’eliminazione fisica della donna.
Il negazionismo
La violenza di genere è un fenomeno culturale; pertanto per potervi mettere fine è necessario un cambiamento sociale di grande portata che riveda l’intera costruzione dei due generi (uomini e donne) e ne riequilibri i rapporti di forza.
Nonostante si parli molto di questo fenomeno, nonostante la facilità con cui è possibile reperire dati, informazioni e nonostante tutte le evidenze in favore della sua esistenza (tra le quali annoveriamo anche quelle scientifiche, frutto di anni e anni di ricerche in materia), ci sono ancora molte resistenze nell’accettare l’esistenza di una forma di violenza perpetrata in maniera sistematica e continuativa contro le donne, la quale spesso viene dipinta più come una mistificazione che come un dato di realtà.
Ma quali sono i meccanismi che stanno alla base di questa nuova forma di negazionismo?
Le strategie di occultamento sono essenzialmente due: la “legittimazione” e la “negazione”.
La prima strategia consiste nel considerare legittima la violenza, che in questo modo non viene riconosciuta come tale (si pensi ad esempio alla convinzione che all’interno del matrimonio non possa sussistere il reato di stupro, perché il consenso al rapporto sessuale rientra nei doveri coniugali di ogni moglie).
La negazione invece consiste nel non riconoscere la violenza e le sue conseguenze e si compone di diverse tattiche. Vediamole assieme.
- Eufemizzazione (la violenza viene etichettata in maniera imprecisa e fuorviante): lo scopo è distorcere il linguaggio per distorcere la realtà. Pensiamo a esempio a frasi come “conflitto coniugale” o “delitto passionale”
- La psicologizzazione che consiste nell’identificare nelle caratteristiche di personalità della vittima e dell’aggressore, la causa della violenza, senza considerare i fattori sociali e politici.
Quante volte abbiamo sentito dire che coloro che commettono maltrattamenti in famiglia o femminicidi sono “pazzi” o depressi? Oppure che le donne che non denunciano sono masochiste e co-dipendenti?
- La naturalizzazione, che porta a spiegare la violenza come una causa delle differenze biologiche esistenti tra uomini e donne. Ad esempio, l’uomo stupra perché per natura fa difficoltà a controllare i propri impulsi sessuali (l’uomo è predatore)
- Separazione (le varie forme di violenza vengono descritte come separate tra loro e in questa maniera non vengono percepite come un fenomeno unitario, continuato e perpetrato nella maggior parte dei casi dalla stessa categoria di persone).
Coloro che adottano questa tattica potrebbero erroneamente ritenere che un partner violento possa essere un buon padre, quando in realtà è stato dimostrato che nei casi di violenza domestica, una percentuale che va dal 30 al 60% dei bambini è coinvolta nelle violenze.
Tutela delle vittime: cosa fare per aiutare le donne vittime di violenza
Cosa possiamo fare per aiutare una donna che subisce violenza?
Stare dalla parte delle vittime non è mai facile: richiede impegno e coraggio. Ecco qualche consiglio per poter fare qualcosa, seppur nel nostro piccolo.
- Ricordarsi che la violenza contro le donne non è un fatto privato, ma pubblico
Spesso quando accade il peggio, sentiamo frasi come “sembravano una coppia così felice” oppure leggiamo sui giornali “i vicini di casa non hanno mai sentito nulla”.
Nella maggior parte dei casi, tendiamo ad ignorare una realtà scomoda per proteggerci e perché, lo dice anche un vecchio detto, “tra moglie e marito meglio non mettere il dito”.
È importante ricordarsi che la violenza contro le donne è un problema pubblico, una piaga sociale. Se dovessimo avere anche il minimo sospetto, è bene segnalarlo alle autorità competenti.
- Non giudicare
Se una conoscente, un’amica, o una qualsiasi donna dovesse confidarci di subire violenza è fondamentale non giudicarla e non allontanarla.
Le statistiche dicono che, prima di riuscire ad accedere ad un aiuto strutturato (forze dell’Ordine, Centri Antiviolenza) e di ricevere sostegno e comprensione, la maggiorparte delle donne aveva già chiesto aiuto dalle due alle tre volte, senza risultato.
La prima risorsa alla quale si rivolgono sono coloro che ritengono più vicini. Troppe volte non vengono ascoltate con empatia, ma anzi giudicate severamente e colpevolizzate rispetto alla situazione che stanno vivendo.
In questo modo le vittimizziamo ancora una volta.
- Aiutare la donna a contattare il Centro Antiviolenza più vicino
I Centri Antiviolenza sono un punto d’ascolto e di sostegno per donne che si trovano in situazioni di violenza, gestiti da operatrici donne, con varie professionalità.
L’obiettivo delle operatrici è quello di aprire uno spazio che consenta alla donna di parlare di sé, offrendole la possibilità di credere in sé stessa e di essere creduta. Si viene a creare così un ambiente di fiducia in cui alla donna è consentito nominare la violenza, esprimere ed elaborare i propri vissuti, limitando il suo senso di vergogna e la percezione di isolamento sociale, che tipica delle vittime di violenza.
Rivolgersi ad un Centro Antiviolenza comporta una presa di coscienza da parte della donna rispetto alla situazione che sta vivendo.
Per questo motivo non è facile fare questo passo. Se siete a conoscenza di una situazione di violenza, o conoscete direttamente la vittima accompagnatela al CAV più vicino e sostenetela in questo momento così delicato.
Bibliografia
- Tenore, K. (2015). Ma Perché le Donne non se ne Vanno?. Neuroscienze.net
- Romito, P. (2005). Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori. Milano: Franco Angeli.
- UNICEF (2006). Behind Closed Doors: The impact of domestic violence on children. Geneva: United Nations Children’s Fund.
- Montrone, S. (2017). Violenza di genere e femminicidio. Odysseo – navigatori della conoscenza
- Femminicidio, di genere si muore. TGR
- Senato della Repubblica (2017). Femminicidio, stalking, malamore, maltrattamenti e altre violenze di genere: i primi dati della Commissione parlamentare d’inchiesta
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