
Impulso ad accoltellare: comprenderlo e trasformarlo prima che ci trasformi
4 Novembre 2025“Chi è padrone delle sue emozioni, è padrone di se stesso. Chi ne è schiavo, è prigioniero del mondo.”
Nella vita di ciascuno, arriva il momento in cui la ragione sembra spegnersi, inghiottita da un’onda emotiva che travolge, strappa i comandi dalle mani della volontà e ci conduce dove non pensavamo di voler andare. È il sequestro emotivo: non una metafora esistenziale, ma una dinamica psicologica concreta, dirompente, che trasforma l’essere umano in spettatore di se stesso.
“Quando veniamo sequestrati dalle emozioni spesso dimentichiamo ciò che facciamo, diciamo o pensiamo.”
In quei momenti, la mente si annebbia, il corpo agisce in automatico, la memoria si fa lacunosa, lasciandoci solo il senso di straniamento tipico di chi torna in sé dopo un blackout emotivo.
Le tentate soluzioni disfunzionali
L’essere umano, di fronte al sequestro emotivo, tenta, quasi sempre, di contrastare la tempesta con due strategie: la repressione e la fuga.
- Repressione: provare a dominare le emozioni “a forza”, imponendosi il controllo, spesso genera un paradosso. Più si cerca di non pensare, più il pensiero ritorna. “Non devi arrabbiarti!”: il risultato è che ogni minima scintilla diventa un incendio.
- Fuga: altri si sottraggono. Evitano le situazioni emotivamente cariche, allontanano le persone, si rifugiano nel silenzio. Ma così facendo, l’ansia cresce nell’ombra, pronta a riaffiorare più intensa alla prossima occasione.
A queste si aggiunge la ricerca di rassicurazione, che alimenta la dipendenza dall’altro e cronicizza il bisogno di sentirsi “a posto” prima di agire. È la logica del “prima mi calmo, poi parlo”, che lascia spesso muti, passivi, prigionieri dell’emozione stessa.
La dinamica del sequestro emotivo
Il sequestro emotivo si manifesta come un vero e proprio “colpo di stato” interno, in cui il sistema limbico — la centrale operativa delle emozioni — prende il sopravvento sulla corteccia prefrontale, sede della razionalità.
Quando ciò accade:
- Il battito accelera, la voce trema, il pensiero si fa confuso.
- Si agisce “a caldo”, spinti dall’impulso.
- I ricordi dell’episodio risultano sfocati: la memoria si inceppa proprio nei momenti cruciali.
È il regno delle frasi come “non so cosa mi sia preso”, “ero fuori di me”, “non ricordo neppure cosa ho detto”.
Si tratta di una perdita temporanea del senso critico, uno smarrimento della bussola interiore. Un fenomeno che, in ottica strategica, si autoalimenta: più tentiamo di “riprendere il controllo”, più lo perdiamo.
Come il naufrago che, cercando di non annegare, si agita e affonda, così chi viene sequestrato dall’emozione rischia di affondare nell’impulso.
Credenze che alimentano il circolo vizioso
Dietro il sequestro emotivo si nascondono convinzioni rigide:
- “Le emozioni vanno controllate.”
- “Chi si lascia sopraffare è debole.”
- “Se provo rabbia, paura o vergogna, sto sbagliando.”
Queste idee, tramandate dalla cultura, dalla famiglia o dall’esperienza, creano un campo minato in cui ogni emozione forte diventa una minaccia da debellare, mai una risorsa da ascoltare.
Il risultato? Un dialogo interno polarizzato tra chi ordina e chi disobbedisce, tra la ragione che impone e l’emozione che si ribella.
“La mente è come un cavallo imbizzarrito: più tiri le redini, più scalpita.”
Strategie risolutive: come liberarsi dal sequestro emotivo
- Accettare l’irruzione emotiva
Il primo passo è smettere di combattere l’emozione come un nemico. “Quello che resiste, persiste.” Invece di reprimere, molto meglio riconoscere: “Adesso sto provando rabbia/paura/vergogna.”
L’accettazione non è resa, ma apertura: permette di interrompere il circuito automatico tra impulso e azione.
- Tecniche di “distanziamento strategico”
Una metafora efficace: quando la casa va a fuoco, non si cerca di spegnere le fiamme con le mani nude. Si prende tempo, si crea distanza.
Un esercizio pratico:
- Nomina mentalmente ciò che provi (“Sto vivendo un’ondata di rabbia”).
- Descrivi i sintomi fisici senza giudizio (“Il cuore accelera, le mani sudano”).
- Fai un’azione “strana” e non automatica (ad esempio, cammina all’indietro per 30 secondi o scrivi di getto la tua emozione su un foglio).
Il gesto inusuale interrompe il pilota automatico e restituisce alla corteccia il comando.
- Il paradosso del “peggiora consapevolmente”
Se la mente vuole a tutti i costi evitare l’emozione, la strategia più efficace può essere quella di “chiamare l’emozione a raccolta”, volontariamente.
Ad esempio: “Ora dedico 5 minuti a sentirmi più arrabbiato possibile.”
La mente, privata dell’obbligo di evitare, smette di rincorrere l’emozione. Il sequestro si scioglie perché perde la sua urgenza.
Come diceva Viktor Frankl: “Quando non possiamo più cambiare una situazione, siamo sfidati a cambiare noi stessi.”
Uscire dalla prigione senza combattere il carceriere
Liberarsi dal sequestro emotivo non significa eliminare le emozioni, ma imparare a dialogarci, riconoscendo che la chiave della cella spesso è nelle nostre stesse mani.
L’obiettivo non è diventare freddi e imperturbabili, ma allenarsi a “stare” nella tempesta, sapendo che passa e che nulla può sequestrare davvero chi si concede il permesso di sentire.
Riferimenti
- Nardone, G. (2014). Oltre i limiti della paura, Ponte alle Grazie.
- Goleman, D. (1995). Intelligenza emotiva, Rizzoli.
- Watzlawick, P. (1983). Istruzioni per rendersi infelici, Feltrinelli.
- Frankl, V. (2000). Uno psicologo nei lager, FrancoAngeli.
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