Logica servile: uscire dalla trappola del fare per essere amati
18 Giugno 2025Come gestire le aspettative nelle relazioni
22 Luglio 2025“Solo chi ha il coraggio di attraversare il proprio vuoto,
può ritrovare l’altro senza perdersi.”
— Aforsima strategico
Il paradosso della vicinanza
Più desideriamo essere vicini a qualcuno, più rischiamo di allontanarci. Come il calore di una fiamma che ci attira e ci brucia, la closeness emotiva — se forzata, se troppo bramata — può diventare faticosa, oppressiva, addirittura distruttiva. In questa danza tra bisogno e paura, tra fusione e solitudine, emerge un termine tanto sfuggente quanto universale: emptiness.
E se il vuoto che tanto temiamo fosse, in realtà, la chiave della vicinanza autentica?
Le tentate soluzioni disfunzionali: il modo in cui ci illudiamo di riempirci
La trappola è sottile e frequente: per fuggire dal vuoto, cerchiamo di riempirlo — con attività, relazioni, controllo, lamentele, o con l’illusione che l’altro possa guarire il nostro malessere. In terapia strategica, si chiama soluzione tentata disfunzionale: più cerchiamo di sentirci pieni evitando l’emptiness, più la generiamo e la alimentiamo.
Thomas Fogarty, nel suo saggio “On Emptiness and Closeness”, descrive un ventaglio impressionante di modalità con cui le persone tentano di colmare l’assenza interiore:
- Riempimento compensatorio: un marito vuoto si rifugia nel lavoro, una moglie nella cura ossessiva dei figli.
- Attività senza sosta: organizzazione compulsiva, orari pieni fino all’orlo, per evitare la possibilità di fermarsi a sentire.
- Fusione relazionale: aggrapparsi all’altro fino a perdere sé stessi.
- Lamento e accusa: tentativo mascherato di ricevere attenzione, ma ottenendo solo distanza.
- Over-responsabilità: curare chi non chiede di essere curato per evitare di ascoltare la propria fragilità.
In breve: evitiamo il vuoto, credendo di sopravvivere, mentre ne diventiamo prigionieri.
La dinamica del problema: il circuito del vuoto
Fogarty individua un pattern emozionale ricorrente che vale la pena interiorizzare:
Stimolo → Emptiness → Ferita → Disagio emozionale → Reazione disfunzionale
Lo stimolo può essere minimo: un tono di voce, una dimenticanza, una critica. Ma ciò che accade non è mai solo nel presente. È un detonatore di emozioni antiche, spesso infantili: sensazione di non valere, di non appartenere, di essere invisibili. Il vuoto interiore è il primo stadio di questa reazione a catena.
La maggior parte delle persone non si ferma a sentire quell’emptiness. La salta. Scatta subito alla rabbia, alla protesta, al ritiro, alla manipolazione. Così facendo, perde l’occasione terapeutica di stare in contatto con sé e aprire all’altro un varco autentico.
Il coraggio di stare nel vuoto: la via stretta della trasformazione
Il cambiamento avviene solo dopo la rinuncia a ogni tentativo di forzare l’altro o controllare l’esterno. Quando una persona entra in quello che Fogarty chiama voluntary depression, una depressione scelta, deliberata, non clinica, ma esistenziale, allora accade qualcosa di radicale:
- si cessa di sperare che l’altro cambi
- si rinuncia al tentativo di sentirsi meglio subito
- si accetta di guardare negli occhi il proprio senso di fallimento
In questa scelta dolorosa — ma libera — la persona smette di adattarsi, smette di fingere, smette di “funzionare”. E inizia a vivere. Paradossalmente, è proprio il vuoto attraversato a creare spazio per un “Io” più autentico, meno compiacente e finalmente disponibile alla vera relazione.
Strategie risolutive efficaci: come si fa a stare nell’emptiness senza affogare
- Rallenta e rimani nel vuoto.
Ogni volta che senti il bisogno urgente di “fare qualcosa per sentirti meglio”, fermati. Stacci dentro. Respira. Non è il momento di agire, è il momento di sentire. Come dice Fogarty: “Do not try to feel better. Any effort to feel better represents running away from the emptiness.”
Esercizio strategico: dedica 10 minuti al giorno a una “pausa di vuoto”. Vanno bene anche 5 minuti per cominciare. Nessuna distrazione, solo tu e il tuo stato interno. Annotane le sfumature. Il corpo è contratto? La mente si ribella? Accogli. - Sposta l’attenzione dal presente alla famiglia d’origine.
Fogarty invita a guardare indietro: “Hai mai sentito questo tipo di vuoto crescendo?”. Quasi sempre la risposta è sì. Collegare l’emozione al contesto familiare aiuta a depersonalizzarla, a non attribuirne la responsabilità al partner o ai figli.
Esercizio strategico: Prendi un’emozione recente di vuoto e chiediti: dove ho già sentito questo? Chi ero allora? Chi c’era con me? Che ruolo avevo? - Comunica il tuo vuoto senza chiedere di essere riempito.
Il modo in cui esprimiamo la nostra sofferenza determina se verremo ascoltati o evitati. Parla del tuo vuoto come tuo, non come colpa dell’altro. Non accusare, non lamentarti, non supplicare.
Formula strategica: “Sto attraversando un momento in cui mi sento svuotato/a. Non ti chiedo di aggiustarlo. Ma volevo dirtelo, perché è importante per me mostrarmi anche così.” - Riduci le aspettative e osserva chi ti sta accanto come se fosse la prima volta.
Il passaggio da “ti conosco, so come sei” a “non ti conosco abbastanza, voglio riscoprirti” è una delle chiavi più potenti per rinnovare i legami logorati. Ogni fissazione sull’altro è un’illusione. L’altro cambia, se glielo permettiamo.
Pratica strategica: Quando guardi una persona cara, cerca volontariamente il “volto nuovo” dietro al familiare. Notane un dettaglio fisico, un’espressione, una sfumatura che non avevi mai notato. - Accetta che il cambiamento è solitario.
Fogarty lo dice chiaramente: il cambiamento vero è un “lonely, hurtful business”. Se cerchi di cambiare per cambiare l’altro, fallirai. Comincia a cambiare te, piuttosto. Cambia per diventare qualcuno che, anche nel vuoto, non si perde.
Aforisma da ricordare: “Solo quando rinunci alla speranza che l’altro cambi, puoi iniziare a cambiare davvero.”
Bibliografia
- Fogarty, T. F. (1978). On Emptiness and Closeness. Part I. Compendium I – The Best of The Family. Center for Family Learning.
- Nardone, G. (2003). Oltre i limiti della paura. Ponte alle Grazie.
- Nardone, G., & Balbi, E. (2007). Solcare il mare all’insaputa del cielo. Ponte alle Grazie.
- Bowen, M. (1978). Family Therapy in Clinical Practice. Jason Aronson.
- Perls, F. (1969). Gestalt Therapy Verbatim. Real People Press.
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