
Logica servile: uscire dalla trappola del fare per essere amati
18 Giugno 2025“Solo chi ha il coraggio di attraversare il proprio vuoto,
può ritrovare l’altro senza perdersi.”
— Aforsima strategico
Il paradosso della vicinanza
Più desideriamo essere vicini a qualcuno, più rischiamo di allontanarci. Come il calore di una fiamma che ci attira e ci brucia, la closeness emotiva — se forzata, se troppo bramata — può diventare faticosa, oppressiva, addirittura distruttiva. In questa danza tra bisogno e paura, tra fusione e solitudine, emerge un termine tanto sfuggente quanto universale: emptiness.
E se il vuoto che tanto temiamo fosse, in realtà, la chiave della vicinanza autentica?
Le tentate soluzioni disfunzionali: il modo in cui ci illudiamo di riempirci
La trappola è sottile e frequente: per fuggire dal vuoto, cerchiamo di riempirlo — con attività, relazioni, controllo, lamentele, o con l’illusione che l’altro possa guarire il nostro malessere. In terapia strategica, si chiama soluzione tentata disfunzionale: più cerchiamo di sentirci pieni evitando l’emptiness, più la generiamo e la alimentiamo.
Thomas Fogarty, nel suo saggio “On Emptiness and Closeness”, descrive un ventaglio impressionante di modalità con cui le persone tentano di colmare l’assenza interiore:
- Riempimento compensatorio: un marito vuoto si rifugia nel lavoro, una moglie nella cura ossessiva dei figli.
- Attività senza sosta: organizzazione compulsiva, orari pieni fino all’orlo, per evitare la possibilità di fermarsi a sentire.
- Fusione relazionale: aggrapparsi all’altro fino a perdere sé stessi.
- Lamento e accusa: tentativo mascherato di ricevere attenzione, ma ottenendo solo distanza.
- Over-responsabilità: curare chi non chiede di essere curato per evitare di ascoltare la propria fragilità.
In breve: evitiamo il vuoto, credendo di sopravvivere, mentre ne diventiamo prigionieri.
La dinamica del problema: il circuito del vuoto
Fogarty individua un pattern emozionale ricorrente che vale la pena interiorizzare:
Stimolo → Emptiness → Ferita → Disagio emozionale → Reazione disfunzionale
Lo stimolo può essere minimo: un tono di voce, una dimenticanza, una critica. Ma ciò che accade non è mai solo nel presente. È un detonatore di emozioni antiche, spesso infantili: sensazione di non valere, di non appartenere, di essere invisibili. Il vuoto interiore è il primo stadio di questa reazione a catena.
La maggior parte delle persone non si ferma a sentire quell’emptiness. La salta. Scatta subito alla rabbia, alla protesta, al ritiro, alla manipolazione. Così facendo, perde l’occasione terapeutica di stare in contatto con sé e aprire all’altro un varco autentico.
Il coraggio di stare nel vuoto: la via stretta della trasformazione
Il cambiamento avviene solo dopo la rinuncia a ogni tentativo di forzare l’altro o controllare l’esterno. Quando una persona entra in quello che Fogarty chiama voluntary depression, una depressione scelta, deliberata, non clinica, ma esistenziale, allora accade qualcosa di radicale:
- si cessa di sperare che l’altro cambi
- si rinuncia al tentativo di sentirsi meglio subito
- si accetta di guardare negli occhi il proprio senso di fallimento
In questa scelta dolorosa — ma libera — la persona smette di adattarsi, smette di fingere, smette di “funzionare”. E inizia a vivere. Paradossalmente, è proprio il vuoto attraversato a creare spazio per un “Io” più autentico, meno compiacente e finalmente disponibile alla vera relazione.
Strategie risolutive efficaci: come si fa a stare nell’emptiness senza affogare
- Rallenta e rimani nel vuoto.
Ogni volta che senti il bisogno urgente di “fare qualcosa per sentirti meglio”, fermati. Stacci dentro. Respira. Non è il momento di agire, è il momento di sentire. Come dice Fogarty: “Do not try to feel better. Any effort to feel better represents running away from the emptiness.”
Esercizio strategico: dedica 10 minuti al giorno a una “pausa di vuoto”. Vanno bene anche 5 minuti per cominciare. Nessuna distrazione, solo tu e il tuo stato interno. Annotane le sfumature. Il corpo è contratto? La mente si ribella? Accogli. - Sposta l’attenzione dal presente alla famiglia d’origine.
Fogarty invita a guardare indietro: “Hai mai sentito questo tipo di vuoto crescendo?”. Quasi sempre la risposta è sì. Collegare l’emozione al contesto familiare aiuta a depersonalizzarla, a non attribuirne la responsabilità al partner o ai figli.
Esercizio strategico: Prendi un’emozione recente di vuoto e chiediti: dove ho già sentito questo? Chi ero allora? Chi c’era con me? Che ruolo avevo? - Comunica il tuo vuoto senza chiedere di essere riempito.
Il modo in cui esprimiamo la nostra sofferenza determina se verremo ascoltati o evitati. Parla del tuo vuoto come tuo, non come colpa dell’altro. Non accusare, non lamentarti, non supplicare.
Formula strategica: “Sto attraversando un momento in cui mi sento svuotato/a. Non ti chiedo di aggiustarlo. Ma volevo dirtelo, perché è importante per me mostrarmi anche così.” - Riduci le aspettative e osserva chi ti sta accanto come se fosse la prima volta.
Il passaggio da “ti conosco, so come sei” a “non ti conosco abbastanza, voglio riscoprirti” è una delle chiavi più potenti per rinnovare i legami logorati. Ogni fissazione sull’altro è un’illusione. L’altro cambia, se glielo permettiamo.
Pratica strategica: Quando guardi una persona cara, cerca volontariamente il “volto nuovo” dietro al familiare. Notane un dettaglio fisico, un’espressione, una sfumatura che non avevi mai notato. - Accetta che il cambiamento è solitario.
Fogarty lo dice chiaramente: il cambiamento vero è un “lonely, hurtful business”. Se cerchi di cambiare per cambiare l’altro, fallirai. Comincia a cambiare te, piuttosto. Cambia per diventare qualcuno che, anche nel vuoto, non si perde.
Aforisma da ricordare: “Solo quando rinunci alla speranza che l’altro cambi, puoi iniziare a cambiare davvero.”
Bibliografia
- Fogarty, T. F. (1978). On Emptiness and Closeness. Part I. Compendium I – The Best of The Family. Center for Family Learning.
- Nardone, G. (2003). Oltre i limiti della paura. Ponte alle Grazie.
- Nardone, G., & Balbi, E. (2007). Solcare il mare all’insaputa del cielo. Ponte alle Grazie.
- Bowen, M. (1978). Family Therapy in Clinical Practice. Jason Aronson.
- Perls, F. (1969). Gestalt Therapy Verbatim. Real People Press.
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