“Le parole che noi ci scambiamo hanno un significato, quindi è attraverso il significato delle parole che con il linguaggio verbale noi riusciamo a trasmettere dei messaggi; ma questo non è tutto…” (Vigorelli P.)1.
Punto di partenza del conversazionalismo è la constatazione di un fatto peculiare: nel soggetto colpito da Alzheimer la competenza conversazionale, viene mantenuta, anche in fasi piuttosto avanzate della patologia. Più precisamente l’approccio parte dal presupposto che la conversazione svolga due funzioni: una funzione comunicativa legata al significato delle parole e una conversazionale che è invece possibile vedere da due punti di vista differenti; uno è il punto di vista del significato delle parole scambiate, il livello prettamente relazionale, l’altro è il semplice orientarsi al fatto che nel momento in cui si parla emergono parole e come in una catena, parola chiama parola.
Con l’avvento della malattia di Alzheimer il soggetto subisce una riduzione, una compromissione della competenza comunicativa (Vigorelli P., 2004). Il malato, pertanto, che ha perso il significato delle parole, che non è in grado di condividere il significato che una particolare parola possiede nella sua mente con ciò che è il significato comune, conserva la capacità conversazionale.
“Le persone colpite da demenza sono spesso viste come persone “limitate” dal momento che non riescono a trovare le parole adeguate per esprimersi. Questo non toglie che possano benissimo avere il desiderio di trasmetterci qualche cosa. Ecco perché è importante essere in ascolto attivo del loro sentire e cercare di comprendere quello che cercano di comunicarci. Ascoltarli esige da parte nostra coinvolgimento, presenza e volontà di identificarsi con i problemi dell’altro. Ascoltare in modo attivo significa esprimere un sincero interesse per l’altro, riconoscere l’importanza dei suoi sentimenti e rispettarli” (Bruce E., Hodgson S., Schweitzer P., 2003).
Obiettivo peculiare del conversazionalismo consiste nel potenziare e rendere viva la conversazione, indipendentemente dal livello di compromissione cognitiva che va a ledere l’aspetto comunicativo, procedendo, paradossalmente, all’interno di una “conversazione senza comunicazione” (Lai G., 2000a). Ciò porta con sé il vantaggio di potersi accostare in maniera spontanea, partendo dalle parole del paziente stesso, all’esperienza della malattia di Alzheimer, con benefici ed una sensazione di benessere per il paziente, gli operatori ed i familiari.
L’approccio conversazionale è stato pensato in modo tale da rendere l’utilizzo dei suoi principi e delle sue tecniche accessibile e fruibile sia per gli operatori che per i familiari.
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