Terapia di riorientamento alla realtĂ (R.O.T.)
Tra le tecniche di stimolazione cognitiva destinate a pazienti colpiti di Alzheimer è possibile individuare la R.O.T.
Sorto inizialmente come intervento destinato alla riabilitazione di pazienti con deficit mnestici, episodi confusionali, e disorientamento temporo-spaziale, la R.O.T. si è mostrata efficace su pazienti dementi di grado moderato o lieve che non presentano disturbi sensoriali o del comportamento particolarmente gravi e con competenze linguistiche mantenute.
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Obiettivo primario dell’intervento consiste nel preservare nel paziente affetto da Alzheimer (AD), l’orientamento rispetto a sé, all’ambiente circostante e alla propria storia di vita. La R.O.T. prende in prestito alcuni dei principi delle teorie cognitive le quali si pongono l’obiettivo, attraverso una serie di tecniche volte a trasformare i comportamenti maladattivi, di innalzare i livelli di autostima del paziente facendolo sentire parte integrante delle sue relazioni significative e di ridurre  la sua percezione di isolamento.
A partire da frequenti stimolazioni multimodali di tipo musicale, verbale, grafiche, visive, tale tecnica si propone di andare a rafforzare le informazioni base del paziente rispetto alla sua biografia personale e alle dimensione spazio-temporale (Trabucchi, 2002).
La tecnica di orientamento alla realtà può essere svolta in piccoli gruppi o individualmente. Nel caso in cui venga organizzata in gruppo, il numero di componenti ideale è di circa 4-5 persone. L’interazione, il confronto, tra i componenti del gruppo permette, infatti, di rafforzare, incrementare e sostenere le abilità sociali quali il rispetto dei tempi della conversazione e le capacità di ascolto, tutte abilità fondamentali per relazionarsi nel corso della vita quotidiana. E’ stato inoltre dimostrato che la condivisione dei propri problemi personali con i pari e le dinamiche di rispecchiamento che si attivano, svolgono il ruolo di supporto psicologico con conseguenti effetti positivi su tono dell’umore e autostima (Bianchin L., Faggian S., 2006).
Nella letteratura è possibile individuare due modalità di implementazione di R.O.T tra loro complementari: la R.O.T. formale (R.O.T. in classe) e la R.O.T. informale (R.O.T. 24 ore).
La prima consta di sedute giornaliere della durata di 45 minuti circa e può essere individuale o di gruppo, in quest’ultimo caso è necessario che vengano selezionate e inserite nel gruppo persone omogenee rispetto al grado di deterioramento.
Nel corso delle sedute i pazienti vengono invitati, dopo aver creato un clima accogliente ed empatico, a svolgere e a portare a termine gli esercizi previsti dal programma standard.
La programmazione pensata dalla R.O.T. consente di andare a promuovere tutti quegli automatismi che permettono al paziente di muoversi ed orientarsi nella quotidianità , pertanto il conduttore sollecita nel soggetto l’utilizzo delle medesime strategie mnestiche, ripetute frequentemente nel corso del tempo.
L’approccio che caratterizza la R.O.T. è di tipo pratico, pertanto, nel corso delle sedute non vengono trasferite nozioni teoriche, ma tecniche che possono mostrarsi utili per affrontare la vita quotidiana, vengono dunque proposti esempi realistici, vicini alla realtà di vita dei soggetti allo scopo di favorire tutti quei meccanismi che agevolano l’apprendimento procedurale (Bacci, 2000).
La R.O.T. informale, invece, rappresenta in modo complementare quell’insieme di facilitazioni temporo spaziali (stanze colorate, segni di facile interpretazione, calendari) introdotte dai familiari e dagli operatori socio sanitari che ruotano attorno al paziente colpito da Alzheimer al di fuori del setting della R.O.T. formale. La ROT informale, costituisce, pertanto, un rinforzo all’orientamento del paziente lungo tutto il corso della giornata.
Nello specifico questa tecnica si pone due primari obiettivi: ri-orientare il soggetto per quanto concerne gli aspetti salienti della propria storia personale, invitandolo, per esempio a ricordarsi della sua data di nascita, dell’orario e del luogo in cui si trova e stimolare la memoria del paziente chiamando in causa argomenti connessi alla sua biografia di vita. Quest’ultimo aspetto in particolare si è mostrato efficace in quanto maggiore è il livello di coinvolgimento emotivo del soggetto tanto maggiori e positive risulteranno le stimolazioni delle funzioni cognitive (Carbone G., Tonali A., 2007).
La R.O.T. informale, inoltre, svolge l’importante e delicato compito di andare a rinforzare ciò che è stato effettuato nel corso delle sedute formali, in quanto solo un incastro perfetto tra le due modalità terapeutiche assicura l’apprendimento da parte del paziente.
Per potere garantire una coordinazione sincronizzata tra operatori formali ed informali, vengono organizzate delle sedute settimanali durante le quali vengono illustrate e insegnate ai familiari ed agli operatori le strategie proposte nell’incontro formale (Bianchin L., Faggian S., 2006). All’interno dell’incontro, inoltre, viene dato modo ai familiari di verbalizzare le proprie difficoltà e di fornire dei consigli per potere perfezionare l’intervento.
Al di là delle differenze che intercorrono tra le due modalità terapeutiche, le strategie utilizzate dalla R.O.T. per agevolare e incentivare l’orientamento personale, temporale e spaziale dei soggetti sono, per quanto concerne l’orientamento personale, la compilazione di una scheda che fornisce informazioni anagrafiche sul soggetto, da compilare quotidianamente; a questa viene affiancato il recupero di tali informazioni nel corso delle conversazioni.
Le esercitazioni relative all’orientamento temporale afferiscono, invece, ad attività il cui scopo principale consiste nel consolidamento e nell’acquisizione dell’ordinamento cronologico degli eventi. Vengono, dunque, suggeriti, per esempio al fine di riconoscere e ricordare i mesi dell’anno, alcuni elementi presenti nella vita quotidiana come clima, vegetazione, abbigliamento.
Un ausilio esterno importante utilizzato in questo senso è rappresentato da un calendario costruito ad hoc per il paziente. Esso si compone di un giorno per pagina ed è compito del soggetto strappare la pagina del giorno attuale sia in seduta formale che al di fuori; è importante che il conduttore o il familiare verifichino che il paziente abbia svolto il compito correttamente e di gratificarlo nel caso in cui lo abbia svolto correttamente (rinforzo positivo) o di incoraggiarlo empaticamente a correggersi in caso di errore.
Altro fondamentale aspetto sottoposto ad esercitazione è, infine, l’orientamento spaziale, il quale fa riferimento al setting dove hanno luogo le sedute ed al paese nel quale si vive. Per esempio allo scopo di far imparare brevi tragitti da compiere autonomamente i pazienti vengono invitati a identificare gli elementi che contraddistinguono i percorsi all’interno delle proprie abitazioni e all’esterno, nel quartiere (Bacci M., 2000).
I limiti maggiori di questa tecnica, consistono nella rapida caduta dell’efficacia al termine dell’intervento stesso e nell’assenza di ricadute sul piano funzionale, ossia sul livello di autosufficienza; tuttavia studi condotti allo scopo di valutare l’impatto che esercita la R.O.T. sulla progressione del disturbo hanno mostrato che pazienti sottoposti a più di un ciclo terapeutico presentano un declino da un punto di vista cognitivo notevolmente ridotto nonché una posticipazione dell’evento istituzionalizzazione (Holloran S., Bressler E., 1996). I risultati delle ultime ricerche, pertanto, testimoniano la necessità di condurre il trattamento fino a quando le condizioni del soggetto lo permettono, sia per consentire un ritardo nell’istituzionalizzazione, spesso vissuto dai familiari come ultima scelta e con sensi di colpa, sia per la possibilità di preservare alcune importanti abilità cognitive (Trabucchi M., 2002).
E’ possibile pertanto concludere che la R.O.T avvalendosi di una vasta gamma di stimolazioni risulta in grado di sollecitare diverse abilità cognitive come prassia costruttiva, attenzione, memoria. Diverse sono anche le tecniche e i mezzi di cui si avvale la R.O.T. per incentivare tali abilità ; una delle principali tecniche cardine è costituita dall’utilizzo di ausili esterni, oggetti quali calendari, lavagne, timer, foto, orologi, oggetti vari di uso comune, che possono essere visti come dei veri e propri sostegni all’attivazione dei processi mnestici del paziente. A questo proposito gli operatori segnalano un’iniziale titubanza da parte del paziente a servirsi degli oggetti messi a disposizione in seduta, a causa della frequente resistenza psicologica del soggetto ad ammettere di avere un disturbo mnestico (Cristini C., Rizzi R., Zago S., 2005).
Emerge, dunque, l’importanza del supporto psicologico che è necessario fornire al soggetto lungo tutto il percorso terapeutico ed in particolar modo all’inizio dell’iter riabilitativo al fine di incentivare la motivazione della persona, invitandola a farla riflettere sul vantaggio che l’ausilio di tali oggetti comporta in termini di autonomia e gestione individuale dei normali atti di vita quotidiana (Bacci M., 2000). Gradualmente, attraverso lodi e rinforzi positivi, il paziente apprenderà in modo quasi del tutto automatico ad avvalersi di questi strumenti. Agli ausili esterni si affiancano tecniche di memorizzazione, le quali spaziano dalla ripetizione frequente delle informazioni, alle associazioni, tecnica che consiste nell’individuare un nesso tra due elementi informativi da apprendere, all’efficace tecnica della visualizzazione nella quale il paziente viene sollecitato a creare delle immagini di ciò che deve ricordare, sino alla categorizzazione che permette di elaborare e semplificare il materiale da memorizzare tramite l’individuazione di categorie semantiche o fonologiche (Scocco P., De Leo D., Pavan L., 2001).
Al termine di un ciclo di sedute di R.O.T. si passa alla fase conclusiva della valutazione del trattamento. Per verificare l’esito del training è necessario, partendo dal presupposto che la terapia di orientamento alla realtà è finalizzata a potenziare l’orientamento spazio temporale e le abilità cognitive ad essa connesse, avvalersi di test neuropsicologici che misurino le suddette capacità (Trabucchi M., 2002). Gli strumenti maggiormente utilizzati in questo senso sono l’MMSE (Mini Mental State Examination) una batteria di test che prevede un’indagine sull’orientamento spazio temporale, sulla memoria in registrazione e in recupero, sull’attenzione e sul calcolo, sul linguaggio e sulle abilità prassiche. In generale non ci si attende un incremento dei punteggi nelle risposte ai vari sub test quanto una relativa stabilità della performance cognitiva (Cristini C., Rizzi R., Zago S., 2005).
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