Dopo avere descritto i vissuti sperimentati dal paziente affetto da demenza di Alzheimer, questa settimana ci soffermeremo sulle strategie messe in atto dal soggetto per fronteggiare l’ansia innescata dalla malattia ed i suoi sintomi (strategie di coping). L’unico autore che tratta ampiamente il coping nella demenza senile è Verwoerdt (1981).
Egli descrive da un punto di vista psicodinamico le diverse strategie di coping che sono utilizzate dai pazienti con una demenza senile; tra i fattori, che possono influenzare la scelta delle strategie, l’Autore nomina: i fattori personali, lo stadio della demenza e il sostegno o reazione dell’ambiente.
Esaminiamo, qui di seguito, le diverse strategie:
La regressione è un ritorno a schemi di comportamento primitivi ed è caratterizzata da riduzione di interessi, egocentrismo, eccessiva preoccupazione per il proprio corpo e aumento della dipendenza da altri. A causa delle forti limitazioni del proprio ambito di vita, la regressione sarebbe accompagnata – secondo Verwoerdt – da sentimenti d’incertezza e dall’aumento della necessità di ‘reality-testing’. Il soggetto verificherà frequentemente la propria collocazione rispetto agli altri, questo atteggiamento potrebbe essere interpretato dall’ambiente circostante come un comportamento disturbante. Se il paziente è consapevole della sua situazione di dipendenza, potranno emergere sensi di colpa; il sospetto ne è una manifestazione (il paziente crede, per esempio, che il caregiver ne abbia abbastanza di lui). L’efficacia di questa strategia di coping dipende tra l’altro dal rapporto tra la regressione e l’entità dell’invalidità. L’eccessiva regressione può far si che gli altri considerino il paziente non cooperativo e questo mette in pericolo il necessario aiuto e il sostegno emotivo di cui il paziente necessita. Una grave regressione implica che anche un piccolo cambiamento della vita quotidiana possa causare uno scombussolamento. La percezione del trascorrere del tempo è talmente limitata (secondo Verwoerdt, simile alla sensazione del tempo nei bambini piccoli) che non possono aspettare e diventano impazienti. A seconda dei processi intrapsichici, più che un reality testing, l’ambiente verrebbe interpretato ora come ostile, ora come protettivo. Questa strategia può richiedere molto all’ambiente del paziente. Il rinunciare viene considerato come una maniera estrema di resa e di capitolazione. E’ una condizione di disperazione e impotenza, dove si è completamente persa la sensazione del controllo. Un chiaro segno della regressione in questa condizione è – secondo Verwoerdt – il rinunciare alla posizione eretta e il voler star solo sdraiati. In una tale condizione il sistema omeostatico nel suo complesso può crollare. Sembra come che non ci sia più energia per tenere funzionante il processo d’adattamento. Questo fa pensare che la rinuncia a volere vivere possa portare addirittura ad accelerare il momento della morte.
Da Verwoerdt vengono nominate diverse strategie con le quali si cerca di tenere sotto controllo le situazioni problematiche determinatesi a causa della demenza. Secondo Dröes R.M. (1991), il comportamento ossessivo e compulsivo può essere visto come coping di tipo operatorio con la propria invalidità attraverso un cambiamento motivazionale. Per esempio, concentrandosi completamente su alcuni dettagli delle faccende di casa uno cerca di mantenere l’equilibrio e la sensazione di controllo; anche la ripetizione di movimenti stereotipati e la coercizione a camminare possono venire spiegati, secondo questo punto di vista, come comportamento compulsivo finalizzato al controllo. La regressione negli stadi avanzati può anche essere interpretata come coping di tipo operatorio con la propria invalidità e i cambiamenti ambientali (es. istituzionalizzazione). Se si è in grado di partecipare solo limitatamente a diverse attività, l’abbassamento del livello di aspirazione e la limitazione del proprio ambito vitale possono contribuire a mantenere una sensazione di controllo e di equilibrio. Attraverso un atteggiamento di dipendenza si può dare un segnale di richiesta di aiuto e che si è (da un punto di vista psicologico) in grado di ricevere questo aiuto. La diminuzione d’interesse e iniziativa, la passività motoria e l’aumento dell’egocentrismo hanno probabilmente a che fare con questa strategia di coping. Certi comportamenti, che sono disturbanti per l’ambiente (per esempio inveire contro i caregivers o richiedere continuamente attenzione), sono probabilmente collegati con le sensazioni d’incertezza, che si accompagnano con la regressione e con l’esigenza, da questa aumentata, del reality testing. Anche la diminuzione delle abilità sociali e l’aumento dell’incontinenza (non dovuta a cause fisiche) vengono probabilmente indotte dal coping regressivo. Mentre l’evitare situazioni di confronto può essere visto come coping di tipo operatorio con le proprie carenze, la negazione dei disturbi cognitivi e la confabulazione, che l’accompagnano, sono piuttosto forme di coping di tipo emotivo con la propria invalidità. Evitando il confronto con la propria invalidità o tenendo quest’ultima fuori dalla coscienza possono essere prevenute le sensazioni di inadeguatezza. Gainotti (1975), confrontando un gruppo di pazienti che confabulavano con un gruppo che non lo faceva, constatava che il confabulare era in relazione con la personalità premorbosa e con il modo di affrontare lo stress. Risultava che pazienti che erano stati scrupolosi e coscienziosi e che nel passato avevano dato grande importanza a indipendenza, prestigio e superiorità confabulassero di più. Egli considerava pertanto la confabulazione come un indice di riorganizzazione piuttosto che di disintegrazione. Se, attraverso queste (o altre) strategie di coping, non viene raggiunto il risultato sperato ci si confronterà, a causa del decadimento cognitivo, con l’incontrollabilità delle situazioni (Verwoerdt, 1981). Certe depressioni, pertanto, nei pazienti con la malattia di Alzheimer, come pure l’ansia (reazioni catastrofiche; Goldstein K., 1952) e un umore malinconico possono venire spiegati come reazioni emotive alla situazione problematica in cui il paziente stesso si trova.
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