Ogni persona anziana (al di sopra dei 65 anni) ha piena coscienza del venir meno delle forze e delle capacità psico-mentali ed il passare degli anni porta il soggetto, principalmente, a dover constatare l’affievolimento delle capacità cognitive e, tra queste, sicuramente più di ogni altra, quelle legate alla memorizzazione (Cesa-Bianchi M., 1998a). Nella psicologia dell’ Io quest’ultimo si concettualizza come apparato di integrazione, di regolazione, di adattamento che utilizza sia meccanismi inconsci (istintivi e preoperatori), sia funzioni consce (cognitive e razionali).
Se nell’anziano e nella prima fase della malattia, le funzioni dell’io sono indebolite, in una demenza conclamata, queste risulteranno non solo ridotte, ma anche frammentate e disintegrate (Scocco P., De Leo D., Pavan L., 2001).
In particolar modo nelle prime fasi della malattia il soggetto mostra un elevato grado di consapevolezza circa le sue difficoltà, e, il non essere in grado di adempiere alle attività quotidiane può indurlo a sperimentare sentimenti di insicurezza, impotenza, confusione, rabbia, dispiacere, delusione e diffidenza. Reazioni d’ansia e comportamento depressivo, inoltre, sono frequentemente interpretati in letteratura come reazioni all’invalidità (Lazarus, L.W., Newton, N., Cohler, B., Lesser J., 1987). L’avvento della malattia comporta infatti dei cambiamenti notevoli nella vita del soggetto e la presenza di stati quali ansia e depressione sono la prova del vissuto carico di stress che comporta la presenza dei deficit. Se per Kohut (1971) il Sé rappresenta il nucleo della personalità che sta alla base del sentimento di autonomia, alimentato dalle relazioni interpersonali, nella demenza di Alzheimer si assiste ad una dispersione del senso del sé e ad un vero e proprio attacco. Uno dei principali cambiamenti a cui va incontro una persona affetta da demenza riguarda proprio l’interazione tra il suo sé e l’ambiente circostante, interazione che viene influenzata al punto tale da mettere a rischio l’equilibrio esistente (Cristini C., Rizzi R., Zago S., 2005). Posto di fronte ad una situazione così altamente stressante, per mantenere un equilibrio il paziente dovrà cercare un modo per adattarsi ai cambiamenti. Se in passato con Seyle (1957) si intendeva per stress quella “risposta strategica dell’organismo nell’adattarsi a qualunque esigenza, sia fisiologica che psicologica, cui venga a esso sottoposto.”, intendendo quindi la risposta allo stress una reazione aspecifica, con Lazarus ed i successivi studi condotti al riguardo viene posto l’accento sulla componente cognitiva e sulla valutazione secondaria, che comprende sia la valutazione del programma comportamentale da attivare, che la stima della capacità di fronteggiare o meno la minaccia (“coping”). Lazarus e Folkman definiscono il coping come “l’insieme degli sforzi comportamentali e cognitivi, volti alla gestione di specifiche richieste esterne e/o interne, valutate come situazioni che mettono alla prova, o che, in ogni caso eccedono le risorse di una persona.” (Lazarus R.S., Folkman S., 1984, cit. in Lombardo C., Cardaci M., 1998). Benché l’attuazione dei compiti adattivi vari da persona a persona è tuttavia possibile una grossolana suddivisione delle strategie di coping. Certe sembrano orientarsi verso la diminuzione della tensione emotiva, che è provocata dalla malattia o dalla crisi, altre più verso la soluzione dei problemi che hanno causato la tensione e verso il ristabilimento del controllo (Lazarus e Folkman, 1984). Esempi di strategie di coping di tipo emotivo sono: rimozione, ridimensionamento della gravità della malattia, presa di distanza, attenzione selettiva, ridefinizione della situazione e delle strategie di comportamento, quali sport, meditazione, uso d’alcolici, manifestazioni d’ira e ricerca di sostegno emotivo e di conforto. Esempi di strategie di coping di tipo operatorio sono: strategie analitiche, quali ricercare informazioni rilevanti, definire il problema, pensare a soluzioni, valutare le alternative, operare una scelta e agire ma anche strategie rivolte alla persona stessa, quali cambiamenti motivazionali o cognitivi come modifica del livello di aspirazione, preparazione mentale alle conseguenze della malattia, ricerca di forme alternative di soddisfacimento e apprendimento di nuove abilità vengono considerate come forme di coping di tipo operatorio (Lazarus e Folkman, 1984). Nella maggior parte delle situazioni viene utilizzata una combinazione di strategie di tipo emotivo e di tipo operatorio, ma quando la situazione di stress viene giudicata incontrollabile o non influenzabile (come nel caso di una malattia grave) si tende di solito a forme di coping di tipo emotivo. I livelli di reazione, però, variano da un soggetto all’altro in funzione dell’ereditarietà, dell’età, di precedenti patologici, della propria storia familiare e, soprattutto, della struttura mentale e più in particolare, della capacità di controllare mentalmente le situazioni vissute (Lazarus R.S., DeLongis A., 1983). Nel caso dell’anziano con demenza, le strategie messe in atto a causa del progressivo deterioramento cognitivo, appaiono disfunzionali in quanto il più importante strumento che si usa per l’adattamento, il processo cognitivo-emotivo, risulta compromesso. In altre parole, mentre da una parte il processo degenerativo della demenza impone al paziente la necessità di un adattamento, dall’altra diventano sempre più limitate le sue possibilità di riuscire ad adattarsi (Moos R.H., 1977). La percezione della realtà risulta approssimata e difettosa ed i limiti tra il mondo interno e quello esterno piuttosto vaghi. Ciò comporta una totale inadeguatezza delle risposte, anche perché i meccanismi difensivi legati all’ansia e all’angoscia risultano ugualmente disarticolati dal significato degli stimoli. La possibilità di raggiungere un buon adattamento diminuisce e il paziente diventerà sempre più dipendente, necessitando di accompagnamento e di un sostegno ambientale e l’accettazione della dipendenza varia da un paziente all’altro (Vandenplas Holper C., 2000). Il soggetto demente, per controllare l’input sensoriale, utilizzerà meccanismi di negazione, di spostamento, di proiezione e di confabulazione, i quali conducono al disconoscimento della realtà e a comportamenti problematici che si strutturano come isolamento, reattività, insofferenza, irritabilità, esplosività. La prossima settimana analizzeremo alcune strategie di coping messe in atto dal paziente affetto da demenza di Alzheimer.
Scritto da Simona Lauri
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