La terapia di reminiscenza
“Arriva un momento nell’età adulta in cui si avverte il desiderio di raccontare la propria storia di vita. Per fare un po’ d’ordine dentro di sé e capire il presente; per ritrovare emozioni perdute e sapere come si è diventati, chi dobbiamo ringraziare o dimenticare. Quando questo bisogno ci sorprende, l’autobiografia di quel che abbiamo fatto, amato, sofferto, inizia a prendere forma. Diventa scrittura di sé e alimenta l’esaltante passione di voler lasciare traccia di noi a chi verrà dopo o ci sarà accanto. Sperimentiamo così il “pensiero autobiografico”, che richiede lavoro, coraggio, metodo, ma procura, al contempo, non poco benessere” (Demetrio D., 1996).
Narrare, raccontare di sé, dare voce alla propria storia mettendo insieme i pezzi della propria vita, come nella realizzazione di un vero e proprio mosaico, fornisce un senso di continuità del sé e permette di guardare da un punto di vista diverso, sotto le vesti di narratore, gli episodi che hanno segnato la propria vita (Di Vita A. M., Granatella V., 2006). Fino agli anni ‘60 la tendenza tipica delle persone anziane a ricordare e voler condividere esperienze del passato veniva interpretato come segnale negativo del declino causato dall’invecchiamento (Leggi i consigli per invecchiare bene). Sarà con Butler (1961) che si inizierà a guardare a tale pratica in una diversa prospettiva, dal momento che l’autore propone l’ipotesi secondo la quale rendere partecipe l’altro della propria vita può essere visto come una strategia adattiva che permette all’anziano di elaborare eventuali nodi irrisolti della propria esistenza, assegnando alla propria autobiografia una valenza positiva in preparazione della morte (Butler R.N., 1961).
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La reminiscenza intesa come “ricordo personale riportato attivamente alla coscienza o manifestantesi spontaneamente” (Pethes N., Ruchatz J., 2002), pertanto ha permesso di inaugurare un trattamento riabilitativo di sostegno psicologico, la terapia di reminiscenza, fondata proprio sul recupero dei ricordi, rivolto agli anziani con patologie dementigene. La memoria autobiografica, nel progredire della malattia d’Alzheimer, è infatti quella componente che subisce solo in una fase tardiva una qualche forma di compromissione. Il recupero di ricordi passati per la persona malata, a differenza dei sentimenti di frustrazione indotti dalle difficoltà a immagazzinare e rievocare eventi recenti e nuove informazioni, rappresenta l’isola felice nella quale la persona si rifugia per superare il senso di inadeguatezza sperimentato dai fallimenti vissuti nel momento in cui esso risulta impossibilitato a memorizzare materiale nuovo. (Bianchin, Faggian, 2006).
Con l’avanzare della patologia, nel soggetto colpito da AD, il senso della dimensione del tempo inizia a diluirsi e sgretolarsi ed il passato finisce con l’imporsi sul presente: i ricordi privi di connessioni ed isolati vengono utilizzati dal paziente per attribuire senso e significato alla realtà presente dal momento che, questi rappresentano una delle poche modalità di contatto con la realtà che la memoria gli offre. A partire dall’importanza della parola e della conversazione, la terapia di reminiscenza si pone l’obiettivo primario di consentire nel paziente un richiamo verbalizzato o silente della propria biografia. Nonostante tale metodologia possa apparire di difficile applicazione a causa del lento spegnersi dell’anima del soggetto il laboratorio di reminiscenza si presenta come territorio di incontro tra operatore, paziente e famiglia che permette di restituire un senso di identità al soggetto ad ai familiari (Bruce E., Hodgson S., Schweitzer P., 2003).
Il principio portante che orienta la terapia di reminiscenza fa in modo che i pazienti si sentano facilitati a fornire un ordine e a rimettere insieme gli attimi sparsi della propria vita, rivestendo il ruolo di narratore. A causa delle difficoltà da parte dei soggetti con Alzheimer a mantenere una coerenza interna al discorso ed un’aderenza alla realtà, il ruolo di narratore non viene sempre mantenuto e spetta pertanto all’operatore ed al familiare sostenere il paziente, accompagnarlo lungo tutto l’iter autobiografico. Tramite le pratiche di reminiscenza, pertanto, viene gettato un ponte tra soggetto e famiglia, viene ripristinato il processo creativo della famiglia stessa, processo messo in scacco dall’ingresso di un evento di vita così altamente invalidante come può esserlo una patologia quale l’Alzheimer. Ciò che emerge, infatti, dai vissuti delle famiglie con persone anziane e malate è la sensazione di perdita di controllo della propria storia, del proprio divenire, il quale viene influenzato a senso unico dalla malattia. La reminiscenza diviene, dunque, non solo un raccontare delle storie quanto piuttosto un riviverle, un con-parteciparle in gruppo, insieme ad altri.
A partire da queste premesse gli attuali studi condotti per verificare l’efficacia della terapia di reminiscenza hanno messo in evidenza che principale merito di questa forma di supporto psicologico consiste nell’apportare dei cambiamenti positivi nel tono dell’umore e nell’autostima del paziente e del sistema familiare, contrastando, pertanto la sensazione di solitudine e di isolamento sperimentati nel corso della patologia (Bianchin L., Faggian S., 2006). Più specificamente il laboratorio di reminiscenza è una pratica creativa che attraverso il potenziamento della rete di relazioni significative, permette di uscire dall’isolamento sociale e di superare i sentimenti di vergogna connessi alla stigmatizzazione sociale della diagnosi di demenza; di riconoscere i bisogni tanto del malato quanto quelli del caregiver, spesso sottovalutati; di far sperimentare ai familiari il duplice ruolo di coloro che ricevono e forniscono aiuto agli altri, “diventando consulenti delle altre famiglie”. (Bruce E., Hodgson S., Schweitzer P., 2003). Consolidare, infine, competenze di cura più attive e molteplici. Altre ricerche si sono occupate, inoltre, di analizzare gli effetti che la terapia di reminiscenza può esercitare sulla dimensione cognitiva del malato facendo emergere che le attività pensate e realizzate nel corso del laboratorio causano un miglioramento nelle capacità mnestiche e linguistiche ed un generale incremento delle abilità comunicative (Moss S. Et al., 2002) a testimonianza dell’efficacia della terapia di reminiscenza.
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